Megalitismo in Val Ceresio

pir_ceresio150Gli Autori descrivono i reperti megalitici, il loro orientamento con le possibili correlazioni archeoastronomiche che potrebbero indicare una frequentazione pre e/o protostorica dei luoghi descritti. Segue un’analisi delle possibili prospettive di ricerca.

by A. Pirondini, G.P. Bocca, F. Pirondini* e C. Pirondini*




MEGALITISMO IN VAL CERESIO

Alfredo Pirondini*, Gian Paolo Bocca, Filippo Pirondini* e Cecilia Pirondini*

Riassunto

Gli Autori descrivono i reperti megalitici, il loro orientamento con le possibili correlazioni archeoastronomiche che potrebbero indicare una frequentazione pre e/o protostorica dei luoghi descritti. Segue un’analisi delle possibili prospettive di ricerca.

Introduzione

Le formazioni descritte sono ubicate nel territorio del Comune di Porto Ceresio (Provincia di Varese, Lombardia Nord Occidentale), appartenente all’attuale “Regio Insubrica” (Comunità Transfrontaliera: una Euroregione istituita nel 1995), al confine con il Canton Ticino (TI), Confederazione Elvetica (CH), sulle pendici sud-occidentali del Monte San Giorgio (patrimonio mondiale dell’UNESCO).

La località è situata sul tratto della costa meridionale del Lago di Lugano (o Ceresio), un lago prealpino formatosi fra 18000 e 15000 anni fa, al termine dell’ultima glaciazione.

Il toponimo Ceresio ha discusse origini. Secondo alcuni deriverebbe dal latino cerasus (ciliegio), ma, da un’analisi linguistica più approfondita, i lemmi keres, krres, kar, ker, le radici *krs e, soprattutto, *kr sono legate al concetto di altitudine, di sommità. Da qui il celto – insubrico kar, dal significato di roccia, prominenza, corno.

Da ulteriori analisi linguistiche (4), “Ceresio”, non sarebbe un toponimo, ma un idronimo, derivante dalla radice *shr, correlato alla presenza di “correnti” (s) di “acqua” (hr).

Fin dalla preistoria, Porto Ceresio fu un approdo per i commerci lacustri fra Pianura Padana ed Europa Centrosettentrionale. La piana, attualmente occupata da edifici di relativamente recente costruzione era occupata, fino al tardo Medioevo, da una zona acquitrinosa, detta “Palude Ceresia”.

Originariamente il centro abitato era costituito da due nuclei, separati dall’asse dell’attuale via Garibaldi. Il nucleo settentrionale era denominato “del Pozzo” per la presenza di un pozzo di acqua dolce i cui resti sono visibili in prossimità dell’arco di ingresso della Corte omonima. L’altro nucleo, a sud, era chiamato invece “del Torchio”, per la probabile presenza di torchi per la spremitura delle vinacce, annessi a mulini ad acqua.

La presenza umana nella Valle risale al Neolitico, per la presenza di resti di palafitte, in località Cattafame di Arcisate, presso una zona umida.

Durante tale epoca preistorica (che in Italia Nord Occidentale si sviluppò dal 5800 al 3600 a.C.), l’uomo, da nomade cacciatore e raccoglitore, divenne allevatore ed agricoltore. Il maggiore controllo delle risorse naturali, rese l’uomo stanziale, comportò un aumento della popolazione con il contemporaneo modificarsi dell’organizzazione sociale e l’introduzione del concetto di “proprietà”. In meno di 2000 anni, la vita dell’uomo si modificò più significativamente che durante i 2 milioni di anni precedenti: un cambiamento radicale conosciuto come “Rivoluzione Neolitica” (3), (29).

Dalla fine del quinto millennio, alla fine del terzo millennio a.C. (periodo che comprende il Neolitico e l’Età del Bronzo), furono erette costruzioni megalitiche come Menhir semplici ed allineati, Dolmen, Cromlech (recinti megalitici). Tali strutture sono spesso vicine a rocce incise, considerate contemporanee ai megaliti limitrofi. Il significato di tale prossimità potrebbe essere spiegato come un segno della presenza del “sacro”. Le raffigurazioni di scene di caccia, di animali e, soprattutto di “oranti”, confermerebbero tale ipotesi. Coppelle e canalette potrebbero, invece, essere state utilizzate come contenitori e collettori di liquidi (organici e/o meteorici) a scopi rituali (6), (7), (8), (9), (10). I “cruciformi” incisi su queste pietre sarebbero, invece segni di Cristianizzazione e, quindi, potrebbero essere considerati di epoca meno remota (11). Ciò confermerebbe una frequentazione di questi siti anche in periodo romano, medievale e, forse anche più recente, con finalità anche differenti da quelle originali (caccia, allevamento di animali).

La datazione di questi reperti costituisce un problema di difficile soluzione, in quanto i petroglifi si trovano in un luoghi “aperti”, facilmente modificabile da fattori meteorici ed umani (30).

La presenza di altre strutture simili in area Europea è, comunque, ben conosciuta.

Ricordiamo, infatti, quanto riportato in numerosi studi che fanno riferimento al santuario di Panoias, (Portogallo settentrionale). Qui, accanto ad una grande roccia con vasche, canali e coppelle, scalini scavati nella roccia, vi è la seguente iscrizione latina risalente al III sec. d.C. (12):

“HUIUS HOSTIAE QUAE CADUNT HIC IMM(ol)ANTUR EXTRA INTRA QUADRATA CONTRA CREMANTUR – SAN(gu)IS LAC(i)CULIS (iuxta) SUPERFU(ndi)TUR”

(traducibile come segue: “Qui sono consacrate agli dei le vittime che vi vengono abbattute: le loro interiora vengono bruciate nelle vasche quadrate e il loro sangue si diffonde nelle piccole vasche circostanti”).

I grandi affioramenti rocciosi, con caratteristiche simili a quelle descritte per il santuario di Panoias, presenti su tutto l’arco alpino, potrebbero, almeno per un certo periodo, avere avuto una funzione analoga.

Il fatto, inoltre, che le “pietre-altare” siano costruite su luoghi elevati indica, probabilmente, la volontà di scegliere un sito appropriato dal quale si potesse avere una sorta di controllo visivo del territorio sottostante, in rapporto anche alla sacralità delle postazioni di altura e delle cime montane tipica delle popolazioni celtiche e /o proto-celtiche (22), (23),(24), (25), (26).

Dolmen e Menhir non sono, quindi, estranei all’area culturale subalpina come si pensava fino a poche decine di anni addietro.

Si riteneva, infatti, che la cultura megalitica si fosse arrestata nella regione transalpina, senza oltrepassare le Alpi. Unica eccezione era l’area pugliese, i cui dolmen, pietre-fitte e specchie erano però attribuiti all’influsso di popolazioni provenienti dalla penisola balcanica, attraverso l’Adriatico, in quanto, nel restante bacino del Mediterraneo, il megalitismo è ben rappresentato. Il lavoro di Puglisi “La Civiltà Appenninica. Origine delle comunità pastorali in Italia ” (27) alla fine degli anni ’50 del secolo scorso e la scoperta, negli anni ’60, della necropoli neolitica di Aosta, dimostrarono l’infondatezza di questa tesi (1), (28).

Veniva così dimostrata la penetrazione del megalitismo anche in Italia nord-occidentale, presumibilmente attraverso i vicini passi alpini del Sempione, del San Gottardo e del San Bernardino e dalla Provenza, per quanto riguarda quelli presenti in Liguria sulle Alpi Marittime.

Di conseguenza, anche altri manufatti attribuiti alla civiltà contadina recente, hanno assunto un significato diverso e la scarsità di reperti megalitici in Italia, differentemente dalle regioni transalpine (specie nord-occidentali ed insulari), potrebbe spiegarsi con il maggiore avvicendamento di civiltà nel corso del tempo, fatto che avrebbe trasformato radicalmente l’aspetto del territorio, comportando la perdita di molti di questi artefatti (7), (8), (9), (10).

A partire dal 4° millennio a. C., l’uomo accrebbe le conoscenze riguardanti il trattamento dei minerali metalliferi. In seguito allo sviluppo della metallurgia, le società si organizzarono in assetti sempre più complessi, con vere e proprie strutture gerarchiche. Furono costruite fortificazioni di altura, note con il nome di Castellieri o Castellari.

Con i cambiamenti climatici del Neolitico ed il passaggio a forme più articolate di strutture societarie, si definirono identità etniche distinte, legate ad aree geografiche abbastanza nette. Nell’Italia Nord Occidentale, tra l’Età del Bronzo Medio (1600 a.C. circa) e l’inizio dell’Età del Ferro (IX-IV secolo a.C. circa) si sviluppò la cosiddetta Cultura di Golasecca, una delle principali civiltà dell’Italia pre-romana, che si estese ad un territorio compreso fra lo spartiacque alpino a nord, il Po a sud, il Serio ad est e il Sesia ad ovest.

Tale civiltà prende il nome dalla località di Golasecca (Provincia di Varese, sulle rive del fiume Ticino), dove, all’inizio del XIX secolo, l’abate Giovanni Battista Giani effettuò i primi ritrovamenti che ritenne testimonianze della battaglia avvenuta, durante la seconda guerra punica, tra Annibale e Scipione, tesi già sostenuta precedentemente da Carlo Amoretti, erudito viaggiatore settecentesco.

E’, però, nel 1865 che Gabriel De Mortillet attribuisce tali reperti ad una civiltà autonoma preromana (16).

I Celti a cui, probabilmente, si deve l’esordio di tale cultura erano popolazioni di origine indoeuropea. Giunsero in Europa in varie ondate, provenienti dall’Asia centrale, fra il 3500 e il 1500 a.C., attraverso il Caucaso e il Medio Oriente. Le zone europee in cui si svilupparono i primi segni della cultura celtica furono, appunto, l’area di Golasecca nel XII-X secolo a.C., l’area mineraria di Hallstatt (in Alta Austria) dove diedero vita a una cultura particolare sviluppatasi intorno all’VIII secolo a.C., e, infine, il sito di La Tène (Svizzera), dove raggiunsero la massima espressione artistica, sociale e spirituale nel VI-V secolo a.C. (20).

Si diffusero, inoltre, nell’intero territorio austriaco e svizzero, nella Germania sud-orientale, in Francia, Belgio, Italia settentrionale, in parte dell’Europa centro-orientale, Spagna settentrionale, Balcani, Isole Britanniche, Irlanda e nell’area centrale della penisola Anatolica. Per quanto riguarda l’area Golasecchiana, si può presumere che la struttura sociale adottata fosse articolata gerarchicamente e che la popolazione fosse divisa in villaggi situati nei pressi delle necropoli ritrovate. Era praticata l’agricoltura, la tessitura e l’allevamento che permetteva di produrre carne e formaggio. L’ampia circolazione di manufatti golasecchiani a nord delle Alpi è in stretto rapporto con l’espandersi e l’aumentare del volume dei commerci dell’Etruria Padana. Gli insediamenti golasecchiani erano di grande importanza strategica, dato che si trovavano lungo itinerari che permettevano di raggiungere i passi del San Bernardino, San Gottardo e Sempione.

Dal ritrovamento di vari suppellettili si deduce che i Golasecchiani commerciavano con Etruschi, Greci, Italia Centro Meridionale ed insulare, fungendo anche da intermediari con i Celti del nord (Culture di Hallstatt e di La Tène). La rete di scambi comprendeva la Cornovaglia, la Bretagna e la Galizia, regioni da cui proveniva lo stagno necessario alla produzione del bronzo. Dalle regioni Baltiche proveniva, invece, l’ambra (20).

Il commercio con la Grecia, l’Italia centro meridionale ed insulare a partenza, con ogni probabilità, dalla colonia greca di Massalia (l’attuale Marsiglia), che attraversava il Finalese (5) ed i più agevoli valichi delle Alpi Liguri e degli Appennini, è confermato dal ritrovamento di vasi in ceramica a figure nere di stile Attico nelle tombe delle fasi più recenti della civiltà di Golasecca (29).

I manufatti locali in argilla erano ottenuti tramite l’utilizzo del tornio “primitivo”, oppure modellati a mano (7), (15), gli oggetti di metallo erano invece realizzati per fusione o laminatura da materie prime estratte localmente e/o importate (2), (13), (14). Le decorazioni testimoniano una chiara influenza etrusca (18).

I centri più importanti della Val Ceresio in epoca golasecchiana, furono sicuramente, Arcisate e Induno Olona, punti di arrivo delle vie di comunicazione provenienti dal Verbano e da Porto Ceresio, dove transitava il rame estratto a Baveno e Maccagno, l’argento del vicino Monte Martica, lo stagno, il ferro, l’ambra e l’oro provenienti dall’Europa centro settentrionale (19).

A partire dal V-IV sec. a.C., nel territorio in esame, si stanziò la popolazione, anch’essa di probabile origine celtica, degli Insubri (18), (20) che mantenne attive la rete di commerci, già esistente, fra Nord e Sud Europa.

La successiva espansione romana, che acquisì la Val Ceresio alla Provincia della Gallia Cisalpina, si concentrò, soprattutto, lungo il corso della Bevera, a Induno, Arcisate, Cantello, Ligornetto (TI, CH).

I popoli celti che la abitavano divennero cittadini romani sotto Giulio Cesare, in cambio di un periodo di servizio militare, al cui termine venivano assegnati alla tribù degli Oufentini, rimanendo proprietari delle loro terre.

Nel Medioevo, la Val Ceresio, inserita nella Pieve di Arcisate, parte integrante del Contado del Seprio, rivestì, come sempre, un importante ruolo strategico come via di comunicazione verso il Nord Europa.

Descrizione

Gli Autori, partendo dalla località denominata Poncia, localizzata in vicinanza con il confine di Stato, hanno potuto osservare – superati 3 terrazzamenti, sostenuti da altrettanti muri a secco parzialmente conservati, costruiti con grosse pietre giustapposte fra loro con spazi riempiti con pietrame più piccolo (foto 1) – una tavola orizzontale (foto 2), appoggiata a pietre di minori dimensioni, un menhir orientato in direzione nord-sud (foto 3) e, nelle immediate vicinanze, sopra un altro terrazzamento, circa 3 metri a monte rispetto ai reperti precedenti, una costruzione simil dolmenica, la cui camera appare orientata ad ovest (foto 4).

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Foto 1

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Foto 2

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Foto 3

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Foto 4, struttura Dolmenica

Le coordinate GPS sono: Alt.: 297 m s.l.m.; Lat.: 45.912231° N; Long.: 8.911815° E. Risalendo lungo il pendio, a 350 m s.l.m., Lat.: 45.911997° N; Long.: 8.913948° E, dopo avere percorso un tratto pianeggiante, si raggiunge una terrazza naturale, costituita da roccia porfiroide, da cui si gode uno splendido panorama della sponda Elvetica del Lago, con Morcote e la chiesa Medievale di S. Maria del Sasso, risalente al XIII secolo, rimaneggiata in epoca Rinascimentale, dominati dal castello visconteo, edificato intorno al 1450, sul luogo di una precedente fortificazione alto medievale (Foto 5).

Foto 5 Morcote

Foto 5, Morcote

 

Per ripido sentiero, si giunge ad un voluminoso masso erratico (Alt.: 380 m s.l.m.; Lat.: 45.911462° N; Long.: 8.914205° E), sede di un probabile riparo, forse con funzioni di pietra-altare, il cui asse maggiore è in direzione Est – Ovest, con apertura rivolta a Nord (foto 6).

 

Foto 6 Masso erratico tana del lupo

Foto 6 – Masso erratico tana del lupo

La superficie di tale formazione rocciosa, appare abbastanza regolare e sono presenti rudimentali canalizzazioni atte a convogliare liquidi verso valle (Foto 7).

Poco più a monte, su un altro pianoro (Alt.: 395 m s.l.m.; Lat.: 45.911104° N; Long.: 8.914183° E), vi è un imponente affioramento di rocce porfiroidi (foto 8), con ampie fenditure e cadute di massi, dovute, con ogni probabilità, a fenomeni di crioclastismo (21), (31) e di utilizzo antropico, come è dimostrato dalla disposizione non casuale di 3 pietre fitte orientate in direzione Est-Ovest (foto 9) e dalla presenza di petroglifi (è ben riconoscibile un quadrupede) su un tavola orizzontale poco distante, con punta rivolta ad Ovest (foto 10).

Proseguendo lungo il pianoro, in direzione Sud-Ovest, si raggiunge in breve tempo un’antica mulattiera che permette, tuttora, di raggiungere l’abitato di Cà del Monte (frazione di Porto Ceresio) dalla località di Posporto.

 

Foto 7 masso erratico dall'alto

Foto 7, masso erratico dall’alto

 

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Foto 8, porfiroidi

 

Foto 9 menhir allineati (2)

Foto 9 menhir allineati (2)

 

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Foto 10, tavola incisa

Il sentiero è lastricato e, a tratti, delimitato da pareti in pietra lastriforme (foto 11). Tale modalità richiama le strade “megalitiche” presenti anche sull’arco alpino ed in Liguria (sul Monte Beigua, nel Varazzino e presso il Giogo di Rialto, nel Finalese) (11), (26).

Foto 11 Sentiero a tecnica megalitica

Foto 11, sentiero a tecnica megalitica

Discussione

La zona descritta è poco conosciuta dal punto di vista archeologico, pur facendo parte dell’area Golasecchiana.

I manufatti, infatti, si trovano in una zona fittamente boscosa (soprattutto bosco di castagni e querce), raggiungibile percorrendo antichi sentieri, noti fino dal medioevo ed utilizzati come vie di comunicazione e di scambio fra i nuclei abitati attigui a Porto Ceresio, da molto tempo in disuso.

Il dilavamento meteorico ed i fenomeni di smottamento, oltre alle recenti opere di disboscamento e di manutenzione del territorio, hanno portato alla luce numerosi muri a secco di contenimento con ampi terrazzamenti.

La datazione di tali manufatti non è univoca, ma può essere fatta risalire al Neolitico ed all’Età del Bronzo, presumibilmente ad opera di popoli pre e/o protoceltici. Ulteriori esplorazioni potrebbero evidenziare altri manufatti ad oggi sconosciuti.

La valutazione dei siti descritti con le recenti tecniche avvalentesi del GPR (acronimo per Ground Penetrating Radar, detto ancheGeoradar), che usa le onde radio per delineare le strutture e gli strati di terreno sotto la superficie del terreno, in grado persino di costruire una immagini tridimensionali, dell’ERS (Electrical Resistance Survey, o Rilevamento Geoelettrico), che misura la resistenza dei diversi strati del terreno alla corrente elettrica (i resti archeologici possono, infatti, avere una resistenza inferiore o superiore rispetto al terreno intorno a loro ed essere così evidenziati), del Magnetometro Differenziale (o Gradiometro), che utilizza sensori magnetici (magnetometri) per rilevare proprietà magnetiche significativamente diverse da quelle del terreno circostante (possono essere individuate con maggiore facilità formazioni archeologiche come pozzi, tombe, depositi di materiali, strade, fossati, muri), potrebbero individuare ulteriori reperti interrati, con la possibilità di poterli studiare in modo più approfondito, ancor prima di eseguire scavi. Una ulteriore tecnica utilizzabile è rappresentata dal Metal Detector: uno strumento che usa l’induzione elettromagnetica per rivelare la presenza di metalli.

Risultati estremamente promettenti sono ottenuti anche con il LiDAR (Light Detection and Ranging o Laser Imaging Detection and Ranging), che possono ricavare dati con la scansione laser delle zone boscose, dalle quali si può rimuovere, in digitale, la vegetazione.

Recenti studi, basati sulle nuove metodiche di ICP/OES o AAS (acronimi per Induced Coupled Plasma/Optical Emission Spectroscopy o Atomic Absorption Spectroscopy) hanno dimostrato che la metallurgia era ampiamente conosciuta, nell’area oggetto del presente studio, già nella Media Età del Bronzo (1600 – 1350 a.C.) e che l’attività estrattiva era praticata anche in località minerarie della Valle stessa (13), (14), (15), (19), (20).

La Val Ceresio sarebbe stata, quindi, fin dall’Età del Bronzo, parte di vie di scambio dei metalli fra il Mediterraneo, la Val Padana e l’Europa Transalpina (19).

Conclusioni

Da questi dati parziali e preliminari presentati, è possibile che i reperti facciano parte di un complesso di costruzioni megalitiche, anche archeoastronomicamente orientate, interessante le pendici del Monte San Giorgio, già noto per la sua importanza Paleontologica. Tale rilievo, la cui vetta è posta in territorio elvetico a 1097 m s.l.m., poteva rappresentare una sorta di montagna “sacra” per le popolazioni preistoriche (probabilmente pregolasecchiane), che hanno lasciato testimonianze riferibili al Neolitico ed all’Età del Bronzo, epoche a cui si data la comparsa del fenomeno del megalitismo.

Tale ipotesi potrebbe essere ulteriormente avvalorata da auspicabili ricerche archeometriche ed archeometallurgiche sul materiale reperito in loco con l’ausilio delle nuove tecniche di indagine archeologica non invasive (o microinvasive) ora disponibili.

 

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(*) Al nostro caro padre e nonno Giorgio Pirondini che ci ha fatto conoscere la bellezza del Ceresio.

 

 

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