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Issel A. 1901. Le rupi scolpite nelle alte valli delle Alpi Marittime, Bullettino di paletnologia italiana, s. III, t. VII, a. XXVII, n. 10-12, pp. 218-259.
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[editor’s note: the most detailed paper until that time on Mt. Bego’s engravings; Issel never recorded the engraved rocks, but attentively examined the literature and was in close and friendly contact with C. Bicknell]
by Arturo ISSEL
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BULLETTINO
DI
PALETNOLOGIA ITALIANA
Anno XXVII. Ottobre-Dicembre 1901. N.i 10-12.
Le rupi scolpite nelle alte valli delle Alpi Marittime.
Allo studio delle reliquie preistoriche fu attribuita scherzosamente la definizione di archeologia degli analfabeti, per la circostanza che suol essere coltivato da persone incompetenti nelle lingue e nell’archeologia classiche ed anche per alludere al supposto che tali reliquie appartengano a gente che non conobbe la scrittura.
È avvenuto della paletnologia come di ogni vena di scibile, che, cioè, massime nei primordi, fosse coltivata da dotti e indotti, e che, nel fervore delle prime ricerche, si raccogliessero con sollecitudine frustoli di prezioso metallo e pagliuzze di mica lucenti, ma destituite di ogni valore. Non perciò i suoi cultori meritano la taccia collettiva di analfabeti, come non si addice il vanto di letterati insigni a tutti i decifratori di epigrafi.
Che i popoli primitivi, ignari d’ogni industria tranne quella di fabbricar rozze armi e suppellettili colla pietra o coll’osso, che i cavernicoli dei tempi più remoti non conoscessero la scrittura non fa d’uopo dimostrarlo.
La paletnologia ha però messo in chiaro come talvolta costoro, pel singolare sviluppo di peculiari attitudini intellettuali di cui erano dotati, fossero in grado di tradurre le
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loro impressioni, forse di serbar traccia di eventi memorabili, mediante figure di uomini e di animali graffite o scolpite, figure, le quali, come l’elefante villoso della caverna di Bruniquel, il renne ferito della grotta di Corgnac o la testa di saiga di quella di Gourdan, rappresentano specie scomparse dalla superficie terrestre o emigrate in lontane regioni ed accusano perciò tempi incomparabilmente più remoti di quelli contemplati dall’archeologia.
Essa ha pur fornito le prove che, in una delle età meno antiche del periodo della pietra scheggiata o paleolitica, in altre parole durante l’età miolitica (1), gli abitanti della caverna di Mas-d’Azil, in Francia, rozzi cacciatori, non erano ignari di un’arte grafica relativamente avanzata, perciocché usavano tracciare, per mezzo di una tinta rossa indelebile (preparata con perossido di ferro commisto ad un grasso) sopra ciottoli quarzosi, bigi o biancastri, svariati segni di cui ignoriamo il significato, i quali sembrano riferibili, almeno in alcuni casi, a valori numerici. Questi segni consistono in tratti paralleli, in cerchietti allineati, croci, linee serpeggianti, ed anche in figure che ricordano caratteri orientali e in altre che sembrano rappresentare occhi umani, alberi, ecc. (2).
Sappiamo eziandio che, più tardi, in una fase del loro svolgimento, che corrisponde allo stato pastorale ed ai primordi dell’agricoltura, sia col proposito di tramandare ai posteri documenti o memorie di fatti importanti, sia per adempiere a riti religiosi, sia per trasmettere ad altri avvisi od ammonizioni, popoli diversi praticarono il costume di tracciar sulle rupi geroglifici, più o meno complicati e numerosi, per modo che avessero lungamente
(1) Questa espressione, della quale feci uso per la prima volta nel 1837, ha il medesimo significato delle parole età mesolitica, adoperate da Ameghino fin dal 1889.
(2) Piette, Etudes d’Ethnographie préhistoriques (L’Anthropologie, 1895, p. 285) — Hiatus et lacune (Bulletin de la Société d’Anthropologie de Paris, 1895, p. 235).
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a resistere all’azione del tempo e delle intemperie. Si può argomentare che alla stessa epoca, almeno pei medesimi popoli, risalgano le prime sigle, impresse vuoi come segno di possesso, vuoi come firma o suggello dell’artefice, in certo modo a guisa di marca di fabbrica, od eziandio quali cifre relative a pesi, misure, valori ecc.
In simili espressioni grafiche del pensiero, bene spesso suscettibili di spiegazione razionale, possiamo ravvisare i rudimenti di una scrittura primitiva, laonde, anche per questo riflesso, respingiamo la definizione colla quale si volle designare la nostra disciplina.
Le incisioni rupestri, sulle quali da breve tempo si è fissata l’attenzione dei paletnologi, furono segnalate in Scandinavia, in Danimarca, in Inghilterra, nella Germania settentrionale, in Spagna, nel Marocco, nelle isole Canarie, in Egitto, nell’Arabia Petrea, nella valle dell’Indo; ma non si mostrano in alcun paese con profusione e varietà maggiore che in due alte valli delle Alpi Marittime, presso il confine politico tra l’Italia e la Francia, cioè nella Valle d’Inferno e in quella di Fontanalba.
Alla prima si accede da S. Dalmazzo di Tenda, sulla via rotabile tra Cuneo e Ventimiglia, mediante circa sei ore di salita, metà delle quali s’impiegano a percorrere il sentiero che conduce all’antica miniera di piombo argentifero di Vallauria, lungo il torrentello detto perciò della Miniera. « Valle d’Inferno, scrive Emanuele Celesia, nome che ben le si addice per la desolazione che regna d’ intorno, pel tetrico color delle rupi che d’ogni banda l’accerchiano, per il difetto di ogni vegetazione da poche erbe infuori nell’estiva stagione e per l’orridezza del luogo. Il pauroso silenzio di quella sconsolata vallea non è rotto che dagli stridi dei falchi e delle aquile che formano tra quei dirupi i lor nidi ».
Le condizioni del paese non furono però in ogni tempo conformi alle attuali, almeno rispetto alla deficienza di piante, perciocché in passato esso era in gran parte coperto da una folta selva di larici, di cui rimangono solo scarsi residui.
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Lungo la valle sono scaglionate parecchie conche, di cui la maggiore accoglie i tre Laghi Lunghi, superiormente ai quali si succedono altri piccoli bacini lacustri, tutti o quasi tutti scavati da antichi ghiacciai.
Le rupi scolpite si trovano sparse sopra un tratto di circa 2 km., principalmente in vicinanza dei laghi, denominati perciò delle Meraviglie (1), le inferiori a circa 1890 m., le superiori a poco meno di 2600, presso il limite delle nevi perenni.
La Valle di Fontanalba ha direzione presso a poco parallela a quella della Valle d’Inferno, dalla quale è divisa per mezzo del massiccio imponente del Monte Bego, la cui vetta coperta di nevi perenni sorge a m. 2873. Vi si penetra dalla Valle Casterino, nella quale corre un impetuoso torrente tributario di quello della Miniera. Dalle rive dell’alpestre Lago Verde, a m. 2100, fino alla parte superiore della valle, a circa 2500 m., si vedono sulle rupi, più o meno rubefatte o annerite dall’azione degli agenti atmosferici, geroglifici profondamente impressi.
Il sig. Bicknell crede che in questa valle essi sieno distribuiti in uno spazio maggiore che non nella prima, spazio equivalente ad un quadrato di 1 km. l/4 di lato (2).
Nelle due valli le incisioni consistono in aree coperte d’incavi puntiformi tra loro assai vicini, o in linee formate da serie degli stessi forellini, i quali misurano in media 2 o 3 mm. di diametro ed uno di profondità (3); ma spesso le dimensioni originarie risultano modificate dalla alterazione della roccia, dovuta agli agenti atmosferici.
Le figure, così scolpite, misurano almeno 5 centimetri
(1) Le rupi stesse sono designate nel paese col nome di Ciappi de Maavegie.
(2) Secondo osservazioni compiute dallo stesso investigatore nella scorsa estate e delle quali non diede conto per le stampe, le pietre scolpite si troverebbero anche fuori degli accennati confini.
(3) In casi eccezionali una serie di forellini contigui sembra sostituita da un solco.
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nella maggior dimensione ; ma sono generalmente assai più grandi e in un caso segnalato da Bicknell la lunghezza raggiunge m. 1,76. Esse sono praticate sopra superficie quali orizzontali quali più o meno inclinate sull’orizzonte od anche verticali, naturalmente levigate dall’azione erosiva di antichi ghiacciai scomparsi. Molte volte si osservano, anziché sulle rocce in posto, sopra massi precipitati dalle prossime balze o convogliati dai ghiacci.
L’aspetto delle rupi incise apparisce con evidenza dalle due immagini qui riprodotte (fig. 1, 2), ricavate mediante la fotografia dal sig. Bicknell, il quale mi ha dato licenza di riprodurle.
Non si conosce con certezza come fossero eseguiti quei forellini, nè si raccolsero nella regione utensili atti a praticarli. Si argomenta però, dal complesso dei loro caratteri, che sieno stati fatti per mezzo di scalpelli acuminati o di punte di metallo od anche (più probabilmente) di pietra, col sussidio di massette e martelli, che potevano
Fig. 1. Rupe incisa presso il Lago Verde (Bicknell).
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essere sostituiti da semplici ciottoli, o pure da picconcini e mazzapicchi litici, simili a quelli di cui si trovano rari campioni nelle raccolte paletnologiche. Se si fosse fatto uso di utensili di metallo, questo avrebbe forse lasciato tracce visibili sulla roccia dura e scabra (ha tessitura granosa o fibrosa), che è scisto cristallino di varie sorta, principalmente cloritescisto ; ma nulla di simile si è potuto avvertire.
Fin dal 1650 Gioffredo fece menzione nella sua « Storia delle Alpi Marittime » (1) delle rupi incise intorno ai Laghi delle Meraviglie, delle quali il parroco Onorato Laurenti gli aveva fornito qualche notizia. Di poi furono ricordate con cenni poco esatti in una guida di quelle montagne pubblicata da Fodéré (2). La priorità di una descrizione scientifica, sebbene assai succinta, delle
(1) Di questa opera fu pubblicata una edizione nel 1824.
(2) F. E. Fodéré, Voyage aux Alpes Maritimes etc., Paris, 1821.
Fig. 2. Rupe incisa tra la Val Fontanalba e il Monte di Santa Maria (Bicknell).
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incisioni appartiene a Moggridge (1), il quale presentò in proposito una breve memoria al Congresso di antropologia ed archeologia preistoriche, tenuto a Norwich nel 1868.
Illustrazioni più particolareggiate ne furono date quasi simultaneamente, durante il 1877, da L. Clugnet (2) e dal dott. E. Rivière (3).
Pubblicazioni posteriori di Blanc (4), Navello, Prato (5), Ghigliotti (6), Molon (7) aggiunsero assai poco alle cose già note. Nel 1884 il capitano E. d’Albertis si occupò del confronto delle inscrizioni rupestri delle Alpi Marittime con quelle delle Canarie (8).
Dopo aver dato conto dei geroglifici da lui veduti nella Valle d’Inferno, il prof. Emanuele Celesia fu il primo a segnalare quelli di Val Fontanalba, la quale, discosta dalle vie abitualmente battute e solo visitata a
(1) F. G. S. Moggridge. The Meraviglie (Comptes rendus du Congrès internat. d’Anthrop. et d’Archéol. préhistoriques, Londres, 1868).
(2) L . Clugnet, Sculptures préhistoriques situées sur les bords des lacs des Merveilles etc. (Matériaux pour l’Histoire primitive et naturelle de l’homme, 2e série, tome VIII, Toulouse, 1877).
(5) E. Rivière, Rapport à M. le Ministre de l’Instruction publique, Paris, 1877.
— Gravures sur roche du lac des Merveilles au val d’Enfer (Italie) (Association française pour l’avancement des sciences, Congrès de Paris, Paris, 1878).
(4) E. Blanc, Études sur les sculptures préhistoriques du Val d’Enfer, Cannes, 1878.
(5) A. F. Prato, Impressioni sulle iscrizioni preistoriche dei laghi delle Meraviglie (Boll del Club Alpino ital., vol. XXVIII, Torino, 1884).
(6) F. Ghigliotti, Escursioni nelle Alpi Marittime (Boll. del Club Alpino ital., vol. XXVII, Torino 1883).
(7) F. Molon, Preistorici e contemporanei, Milano, 1880.
(8) E. d’Albertis, Crociera del Corsaro ecc., Milano, 1884.
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lunghi intervalli da pochi pastori e cacciatori, era ignota agli studiosi (1).
Più recentemente, un altro esploratore, il sig. Clarence Bicknell, reputato botanico inglese da molti anni residente a Bordighera, si diede a studiare le figure incise nella Val Fontanalba, che egli crede in numero di oltre 2000, senza contare quelle più o meno obliterate dagli agenti atmosferici, e ne raccolse 538 calchi e molti disegni e fotografie. Le sue osservazioni, assai diligenti e sagaci, riassunte in due memorie inserite fra gli Atti della Società Ligustica di Scienze naturali e geografiche (2), come pure buon numero di disegni e di fotografie che egli si compiacque di comunicarmi, sono i principali documenti cui ho attinto per arrischiare le considerazioni ed induzioni esposte in queste pagine. Aggiungerò che
(1) E. Celesia, Escursioni alpine — I. Laghi delle Meraviglie — II Fontanalba (Boll. ufficiale del Ministero di pubblica istruzione, fasc. V, maggio 1886, Roma, 1886) — I laghi delle Meraviglie in val d’Inferno, Genova, 1885).
(2) C. Bicknell, Le figure incise sulle rocce di Val Fontanalba (Atti della Società Ligustica di Scienze nat. e geog., vol. VIII, Genova, 1897) — Proceedings of the Society of Antiquaires, Dec. 9. 1897 — Osservazioni ulteriori sulle incisioni rupestri in Val Fontanalba (Atti della Società Ligustica di Scienze nat. e geog., vol. X, Genova, 1899).
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il Bicknell, stabilito in una umile casa di pastori, nella Valle Casterino sta continuando anche al presente (agosto 1901) i suoi lavori. Egli mi scrive, che, avendo ormai educato l’occhio alla scoperta delle figure meno appariscenti (perchè obliterate o nascoste dal terriccio e dalle piante), riuscì a rintracciarne molte di nuove, nella Valle di Fontanalba e specialmente sul pendìo del monte di Santa Maria, figure di cui raccolse esatte riproduzioni, modellandole con carta bagnata.
Mentre si aspettano i risultati di così fortunate e perseveranti esplorazioni, sono da segnalarsi due note testé pubblicate sul medesimo soggetto, una dovuta al dottor Fritz Mader (1), benemerito illustratore delle Alpi Marittime, l’altra all’antropologo dott. Lissauer (2).
(1) Mader F.. Le iscrizioni dei Laghi delie Meraviglie e di Val Fontanalba nelle Alpi Marittime (Rivista mensile del Club Alpino italiano, vol. XX, n. 3, Torino, 1901).
(2) Lissauer, Anthropologischen Bericht über seine letzte Reise
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Non solo le figure scolpite sono assai numerose, ma presentano forme, grado di complicazione e modo d’aggruppamento svariatissimi, osservandosi però, in complesso il medesimo carattere, che si palesa nella tecnica uniforme, nella ripetizione di alcuni motivi e nella analogia di certi disegni dirò così elementari, e in particolar modo di quelli nei quali sono rappresentate corna bovine. Vi ha dunque indubbiamente unità di stile, la quale implica entro certi limiti unità di tempo.
E soggiungo immediatamente che si tratta di tempo remoto, come risulta con evidenza dalla foggia ingenua ed arcaica del disegno, da taluno degli oggetti rappresentati e dalla alterazione della roccia nei punti in cui fu intaccata dalla scalpellatura.
Faccio eccezione per un certo numero di figure e scritti recenti o meno antichi, eseguiti con metodo diverso. In tali incisioni si palesano la vanità e lo spirito d’ imitazione innati dell’uomo, che indussero tanti viaggiatori a scrivere e a scolpire il proprio nome sulle pareti di insigni monumenti e accanto ad altri nomi. Così Bicknell segnalò nella Valle delle Meraviglie la firma di Gian Battista Guidi colle date del 1766 e del 1770 : così d’Albertis, secondo una sua comunicazione manoscritta, osservò nella stessa valle sopra una rupe che reca quattro antichissime figure cornute altri disegni assai posteriori, tra i quali quello di una scritta colle parole W CARLO VALLE TORINO scolpite al di sotto e la data 1629 lateral-
in Süd-Frankreich und Italien. Verhandl. des Berliner Anthrop. Gesellschaft, Sitzung, 21 Juli 1900.
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mente, e poco lunge le immagini di una scure di tipo moderno (col monogramma IHS nella parte che rappresenta il ferro), di una roncola, di due coltelli, di una barca a vele spiegate (paranza?) col suo nocchiero assai imperfettamente indicato ecc. Sopra altra pietra lo stesso osservatore scoprì ligure infantili (formate di pochi e incerti tratti) di uomini e di animali e due disegni molto più perfetti e d’altra fattura, rappresentanti due uomini dal torace allungato, dagli arti sottili, i quali sono entrambi provvisti di alto copricapo appuntato come il berrettone dei persiani ; uno dei due, armato di pugnale o spada, è atteggiato a minaccia, nell’altro si vede un voluminoso membro virile.
Queste ultime immagini, di carattere assai spiccato, mi sembrano aggiunte posteriormente, ma pure in tempo remoto, alle moltissime segnalate dagli autori come preistoriche.
Un gran numero di figure assai semplici, tanto presso i laghi delle Meraviglie quanto in Val Fontanalba, rappresentano manufatti, e la spiegazione loro può considerarsi come sicura o quasi. Tali sono quelle di accette di bronzo o di pietra inmanicate (fig. 3, 4), di mazzapicchi o zappe di pietra con manico (fig. 5, 6), di martelli
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o mazze di pietra pur con manico (fig. 7), di cuspidi di frecce con o senza peduncolo (fig. 8, 8 bis), di punte di lancia a lungo cannone (fig. 9) od anche a peduncolo breve ed allargato (fig. 10).
Noto per incidenza che lo punte di lancia a cannone sono comuni tra i manufatti preistorici di bronzo e che, a mia cognizione, quelle a peduncolo allargato appartengono tutte alla categoria delle armi litiche, quantunque provenienti da stazioni non sprovviste di metallo. Si possono comprendere nella stessa categoria le immagini di lame di pugnale o di pugnaletti a breve impugnatura (come se ne trovano in parecchie stazioni dell’Europa settentrionale riferibili agli ultimi tempi dell’età del bronzo) (fig. 11) o col solo codolo (fig. 12) (1).
Fra le armi, Bicknell ha illustrato parecchi esemplari di una alabarda assai caratteristica, che doveva essere di bronzo, nella quale il celebre archeologo A. Evans ravvisa uno stromento tipico della prima età del bronzo, rinvenuto in parecchie stazioni preistoriche europee (fig. 13, 14, 15).
Esso era munito di asta terminata da uno o due
(1) Mi sembra una foggia peculiare di pugnale anche lo stromento distinto colla lettera a da Bicknell nella sua tav. I (Atti Soc. Ligust., vol. VIII, tav. XII).
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anelli (in alcuni casi connessi tra loro pel margine esterno, in altri concentrici), e talvolta aveva una lama triangolare fissata mediante chiodetti ad apposita espansione dell’asta. Anche Lissauer nota come importante l’immagine di questo stromento, il quale figura a parte ed impugnato da un uomo (fig. 66).
Uno dei disegni riprodotti da Rivière accenna ad un falcetto (fig. 16). Passando alle immagini di oggetti più voluminosi, accennerò a quella di un carro a due ruote col suo timone, osservata in Val d’Inferno (fig. 17); la ruota visibile nel disegno lascia distinguere sette raggi assai grossi, ma non il mozzo.
Se la mia interpretazione è giusta, si tratta di un veicolo analogo a quelli che servono a trasportare i legnami nei nostri paesi di montagna.
In fatto di utensili voluminosi, sarebbero a citarsi gioghi, aratri ed erpici (fig. 18) che furono riconosciuti da Bicknell (1). Il giogo è indicato con un’asta orizzontale appoggiato al capo dei bovi; l’aratro è rappresentato da un’asta orizzontale o timone, alla cui estremità va connesso un
(1) Non è escluso che fra i supposti erpici fossero comprese trebbiatrici primitive. Nell’isola di Cipro alcuni di questi utensili, tuttora in uso, descritti da Giglioli, sono armati di selci taglienti.
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altro pezzo appuntato in posizione obliqua (un cultro o vomere rudimentale, che doveva essere fatto di legno); l’erpice consiste in un telaio rettangolare attraversato da sbarre longitudinali e trasversali, queste ultime destinate verosimilmente a portare un certo numero di punte, le quali nell’incisione non appariscono.
Simili erpici, adoperati nei paesi in cui l’agricoltura è poco progredita, per esempio in Anatolia, sono armati di schegge silicee, anziché di punte di ferro o d’acciaio. Dirò a suo tempo come io ravvisi in altre figure più complicate sicura prova della legittimità di queste interpretazioni.
Alla categoria di quelle che riproducono animali o parti di animali appartiene il maggior numero di incisioni osservate nelle due valli. Si tratta principalmente di teste bovine con corna più o meno sviluppate (fig. 19, 20, 21, 22) e, siccome molte mancano di orecchie, Prato crede che si debbano considerare piuttosto come teschi; ma Bicknell avverte che se ne dànno anche di orecchiute (fig.23, 24). Al supposto teschio fa seguito talvolta un corpo schematicamente rappresentato in proiezione orizzontale con coda o senza privo, di arti (fig.25, 26, 27), con due o pure con quattro estremità (fig. 28, 29, 29 bis) e raramente con sei (fig. 30).
In questo caso i segni che sembrano estremità anteriori erano forse orecchie nell’ intenzione dell’autore. Le corna sono talvolta in numero di quattro anziché di due (fig.31). Bene spesso la parte che sta ad indicare il corpo è straordinariamente ridotta (fig. 32, 33) o diventa
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anche lineare (fig. 34, 35); così si passa per graduate transizioni dalla forma tipica di bestia bovina a quelle che furono impropriamente definite, scorpioni, scarabei ed altri insetti, (fig. 36, 37, 38, 39) (1), come pure alle figure in cui si volle a torto ravvisare la croce ansata dei Fenici (fig. 40).
D’altra parte, mentre il corpo del supposto bove assume dimensioni relativamente eccessive e forma irregolarmente quadrangolare, le proporzioni della testa si fanno minime e questa può anche scomparire completamente o quasi; la figura sembra allora l’immagine di una pelle bovina od ovina con estremità o senza, e in alcuni casi priva di testa (fig. 41).
Una bizzarra figura pertinente a questa famiglia presenta ai due lati della piccola prominenza che corrisponde al muso un piccolo incavo puntiforme (fig. 42). Si tratta verosimilmente di un segno simbolico, che modifica convenzionalmente il significato dell’immagine bovina, in qual guisa non saprei argomentarlo. Ad ogni modo, non mi sembra accettabile l’interpretazione di Gabriel de Mortillet che la dice « représentant un bonhomme » (2).
In una figura data dal Celesia (Escursioni, tav. II, fig. 22) sembra effigiata una pelle di quadrupede col collo lunghissimo e con lieve accenno di un capo terminato da due appendici flessuose ed appuntate.
(1) Talvolta due di simili figure insettiformi sono tra loro combinate, anzi compenetrate per le appendici loro anteriori.
(2) G. de Mortillet, Formation de la nation française, pag. 177, Paris, 1897.
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La figura schematica del bove ridotta alla più semplice espressione è conforme alla lettera Y dell’alfabeto fenicio, come pure ad un segno bene spesso ripetuto nelle sigle dei fittili di Villanova illustrati dal Gozzadini. Se tal figura fosse accompagnata da altre diverse, assai semplici, non esiterei, per analogia, a considerarlo come segno fonetico; ma me lo impedisce il riflesso che in alcuni gruppi si ripete quattro o cinque volte, ad esclusione dei disegni più complicati, e che questi sono bene spesso disgiunti affatto dai supposti caratteri fonetici. Con ciò non si elimina l’ipotesi improbabile che la misteriosa scrittura consti ad un tempo di caratteri ideografici e di fonetici.
Il medesimo segno si trova spesso modificato in Val Fontanalba, da una sbarra trasversale, da due e perfino da tre, assumendo così l’aspetto di certi insetti muniti di tre paia di zampe e di un paio d’antenne (fig.38, 39).
Avvertendo che in parecchi alfabeti primitivi le rette trasversali hanno un valore numerico (una raddoppia la unità, due la triplicano e via discorrendo), potrebbe darsi che in questo caso il significato loro fosse analogo. Ma se il segno cornuto Y tagliato da una sbarra trasversale indicasse due bovi, tagliato da due sbarre tre bovi ecc., risulterebbe superflua la ripetizione, che pur si verifica frequentemente del medesimo, nella sua forma più sem-
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plice. Pertanto converrebbe ricorrere ad una spiegazione diversa, la quale mi si presenta spontanea alla mente col supposto che le rette orizzontali valgano a designare, a cagion d’esempio, giovenche o tori di un anno, di due, di tre; ciò tantopiù che l’indicazione dell’età si troverebbe in armonia col fatto che nei sacrifizî primitivi il numero d’anni dell’animale offerto in olocausto era rigorosamente prescritto (1).
Similmente, ritenendo che il segno ┼ significhi la diecina, come nella vetusta scrittura cinese e in parecchie altre, la croce sovrapposta alla figura cornuta (fig. 43) dovrebbe indicare un capo di dieci anni.
Prima di procedere, avverto per incidenza come il segno cornuto elementare, lievemente modificato col prolungamento dell’asta longitudinale alla parte superiore e con tre rette trasversali (Ұ) si trova compreso, secondo d’Albertis, tra le incisioni rupestri dell’isola del Ferro. Rivière da canto suo aveva già segnalato l’analogia delle figure cornute semplici e complicate, cioè munite di croce superiormente o di sbarra inferiormente, con quelle delle Canarie.
In certe immagini cornute abbiamo talvolta lo schema di un solo corpo con due coppie di corna rivolte all’esterno in senso inverso (fig.44), mentre in altri casi son pur rivolte in senso in-
(1) Non mi dissimulo il dubbio che, mentre un’asta longitudinale rappresenta il corpo, le trasversali valgano ad indicare le estremità; ma perchè queste sbarre trasversali sono talvolta tre e in altri casi si riducono ad una sola ?
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verso, ma le une contro le altre (fig. 45). Non mancherebbero ipotesi atte a render conto delle diverse disposizioni, ma, non essendo confortate di dati comparativi, non mi dissimulo lo scarso loro fondamento e non insisto in proposito (1).
Parecchie teste armate di corna ramose (fig. 46) furono sicuramente copiate dal cervo o dal capriolo, mentre in altre, a corna spesse, divaricate e torte (fig. 47), l’artista tolse io credo a modello l’ariete, e in altre ancora, a corna appena arcuate o rette, tra loro prossime e poco divergenti, volle imitare la capra (fig. 48, 48 bis).
Noto che, secondo Rivière, non manca, fra le figure scolpite delle Canarie, quella della testa o del teschio a corna cervine.
Alcune teste, forse bovine e più probabilmente ovine, portano due paia di coma, ricordando una mostruosità non rara negli armenti; alla quale gli antichi visitatori di quelle valli attribuivano forse importanza speciale dal punto di vista del rito o di qualche superstizione.
Non ravviso tra le numerose teste cornute alcuna
(1) Non si potrebbe aver qui, nel primo caso, il simbolo di una coppia di bovini di sesso diverso e nel secondo quello di due vacche o bovi?
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immagine riferibile con sicurezza al camoscio, ma non escludo che qualche rozza figura sia stata ispirata dallo stambecco, il quale allignava in altri tempi anche fra le Alpi Marittime.
Ritenevo da principio di poter riferire ad una antilope dell’Africa tropicale (Strepsiceros kudù) l’immagine di un teschio a lunghe corna avvolte a spirale, osservata in Val d’ Inferno (fig. 49) ; ma, dopo ulteriori confronti e matura riflessione, son venuto nel convincimento che l’artefice preistorico si sia proposto di disegnare qualche vecchio ariete.
Escludo nel modo più reciso che si manifesti in alcuna figura l’ intenzione di rappresentare altri animali esotici, in ispecie l’elefante, la giraffa e il dromedario.
Già esposi le ragioni per le quali ritengo dimostrato che le supposte figure di insetti e in ispecie di scorpioni sieno tutte da riferirsi a ruminanti.
Aggiungerò che, a parer mio, alcune altre furono riferite a serpi e a chiocciole in base ad una lontana e fallace analogia, e sono probabilmente segni convenzionali affatto estranei al regno animale.
Per esaurire quanto concerne gli animali, debbo ancora notare, come, chiarito il significato delle varie specie di figure e schemi rappresentanti bovini, risultava ben legittima l’ interpretazione dei bovi aggiogati (fig. 50), quella dei bovi attaccati
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all’aratro (fig. 51) e all’erpice (fig. 52) e quindi dell’aratro e dell’erpice isolati (fig. 53, 18) (1). È forse un erpice anche l’oggetto figurato nella nostra vignetta n. 54, o non piuttosto una rete contesta di corde o di vimini (come suppone Clugnet, il quale ne presenta anche altri meno regolari), rete simile a quelle adoperate dagli alpigiani pel trasporto del fieno? Passiamo all’esame di altre figure che designerò complessivamente coll’aggettivo di geometriche, per distinguerle dalle precedenti.
Fra queste, è compresa una stella ad otto raggi, che potrebbe essere interpretata come immagine simbolica del sole o di una stella, ma che, d’altra parte, è identica ad un segno numerale di antichi alfabeti. Trovo lo stesso segno descritto dal conte Ninni come uno di quelli che servivano e servono ancora ad indicare le migliaia presso i Chioggiotti analfabeti (2). Né vi manca il circoletto con otto raggi, o meglio con quattro diametri equidistanti, il quale ha presso i Chioggiotti il medesimo significato delle quattro rette che s’intersecano, ossia della stella a otto raggi. La prima figura e la seconda sono disegnate nelle tavole IV e VI di Clugnet (Sculptures préhistoriques etc.).
Reputo più immaginosa che fondata l’ interpretazione offerta dal Celesia (Escursioni, tav. II, fig. 9) di una figura allungata, dal
(1) Reputo dubbia l’interpretazione dell’aratro isolato. Quanto alla figura che riferisco all’erpice, potrebbe anche rappresentare una trebbiatrice rudimentale.
(2) Ninni A. P., Sui segni prealfabetici usati anche ora nella numerazione scritta dai pescatori clodiensi, Venezia, 1889.
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margine protratto in nove o dieci lobi irregolari, dicendo che rappresenta un gruppo di stelle (fig. 55); si tratta forse di una insegna.
Un’altra figura, che può passare per una ruota a quattro raggi (fig. 55 bis), non solo corrisponde alla cifra delle centinaia presso i Chioggiotti, ma è compresa tra i segni numerali etruschi, e si trova inoltre incisa sopra massi erratici nella Scania.
Celesia reca pure il disegno di un circoletto regolarissimo (segno numerale e lettera fonetica in alcune scritture), che accompagna altra incisione di ignoto significato (Escursioni, tav. II, fig. 3).
Un circoletto attraversato verticalmente da un diametro è riprodotto dal Rivière nella sua tavola delle figure di Val d’Inferno (Gravures etc., fig. 41), e corrisponde ad una delle cifre adoperate dagli Etruschi per designare il centinaio.
Rispetto a certe figure geometriche più complicate, formate da un perimetro irregolare rettilineo o curvilineo che circoscrive circoletti e rettangoli e talvolta l’emblema cornuto (fig. 56, 57), parmi verosimile la spiegazione del sig.C. Bicknell, il quale crede sieno piante di agghiacci o recinti destinati agli armenti, forse colla indicazione di capanne e di abbeveratoi. Ricordano infatti le disposizioni più frequenti nelle odierne « margherie » degli alti pascoli alpini, colla capanna adibita al caseificio, circondata di staccionata fatta mediante tronchi di larice e provvista di vasca circolare per dissetare gli armenti. Il simbolo cornuto collocato in alcune di queste figure indicherebbe, secondo Bicknell, il posto occupato dal bestiame.
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Se tali disegni fossero veramente ciò che il nostro autore suppone, rappresenterebbero la residenza estiva del pastore o margheria, in generale, o non piuttosto quella di un determinato pastore ?
Ove la seconda interpretazione fosse conforme al vero, si avrebbe in certo modo l’insegna, lo stemma di quel pastore o proprietario di armenti, nel modo stesso che l’immagine del castello figura spesso nello stemma gentilizio del castellano; ci spiegherebbe perciò come tali disegni sieno talvolta associati ad altri, i quali, pur avendo coi primi qualche somiglianza, non possono tuttavolta considerarsi come piante (fig. 58, 59). Questi rappresentano indubbiamente, a parer mio, insegne convenzionali di persone o di tribù, insegne analoghe a quelle che vediamo incise sulle rupi figurate di Orco Feglino e dell’Acquasanta in Liguria, e che assai più numerose e caratteristiche si trovano scolpite in altri paesi, sopratutto sui massi dei monumenti megalitici (1). Alla stessa famiglia di immagini simboliche appartengono le insegne assai più complicate e perfette (cartouches dei
(1) Ho già notato in altra occasione l’analogia di tali insegne colle impressioni osservate sulle pintaderas di terra cotta rinvenute nelle caverne ossifere neolitiche della Liguria.
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Francesi), colle quali sono designati i Faraoni fra i geroglifici dell’antico Egitto. Poco diverse dalle nostre, e generalmente più semplici, sono quelle da tempo immemorabile adoperate presso i pescatori chioggiotti analfabeti, per contrassegnare le partite di ciascuno, nei libri di conti tenuti dai padroni delle paranze, libri nei quali, come si è detto, si usano tuttora segni numerali, analoghi a quelli inscritti sui monumenti etruschi.
Come pure non ne differiscono essenzialmente le figure che servono anche al presente ai capi di certe tribù aborigene dell’America boreale per designar sè stessi nelle loro corrispondenze (1).
Sospetto che sieno insegne anche le incisioni nelle quali si trovano combinate due o più immagini, per esempio quella di un’ alabarda di bronzo che attraversa un corpo cornuto (fig. 60).
Sopra due massi a superficie orizzontale alquanto logora, presso il lago Verde, Bicknell vide scalfitture più complicate ancora, le quali col loro complesso dovevano costituire un intricato disegno simile a quello di certi ricami contesti di rami con fiori e frutti convenzionali; non vi mancavano però le solite corna, simbolo relativo alla pastorizia. Si tratta anche in questo caso, probabilmente, di un’ insegna, e il
(1) Lubbock, I tempi preistorici e l’origine dell’incivilimento, trad. Lessona, Torino, 1875.
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segno cornuto che ricetta emblema di pastorizia, sta forse a rappresentare la condizione o la professione di colui che in siffatta guisa designava la propria personalità.
Non volendo qui indugiarmi nella disamina di questi e d’altri geroglifici di significato troppo oscuro o controverso, mi farò a trattare senz’altro dei più caratteristici, la cui spiegazione immediata è relativamente facile. Alludo alle figure umane, isolate o insieme aggrappate.
Alla prima categoria appartengono una effigie umana assai imperfetta, ma evidente, data da Clugnet nella riga 14 della sua tav. V e un’altra simile pubblicata da Rivière neIla sua fig. 47, entrambe nella Valle d’Inferno, come pure undici figure, tutte di Val Fontanalba, riprodotte in una delle sue tavole da Bicknell. Queste, in generale più perfette delle prime, presentano, nella loro ingenua semplicità, proporzioni abbastanza giuste ed atteggiamenti diversi. In due si palesa il sesso maschile (fig. 61, 62). In tutte, a quanto pare, si vollero effigiare individui restituiti d’indumenti.
Sette figure sorreggono, con una mano o con due, stromenti appuntati mazzapicchi o labarde) dall’asta lunga semplice o pure lunghissima e nodulosa (fig. 61, 62, 63, 64); in un caso la lunghezza dell’asta e quivale a circa sette volte quella del portatore (fig. 65). In un altro disegno la figura umana senza testa sostiene una alabarda simile a quelle accennate precedentemente (fig. 66): in due altri l’uomo porta a due mani una sorta di ascia rettangolare a lungo manico (fig. 67, 68). Finalmente, v’ha una figurina che brandisce, in atto di minaccia, con movimento assai naturale, una piccola asta, che potrebbe rappresentare un giavellotto (fig. 69).
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Passando ad altre incisioni più complicate, dirò di quella riprodotta dal Celesia al suo n. 28, ma non descritta, la quale sembra a tutta prima l’immagine di un uomo che trasporti un trofeo, ma significa invece un coltivatore che conduce l’aratro tratto da una coppia di bovi.
Altre simili, con una o con due figure umane, tutte di Val Fontanalba, furono testé illustrate ed ingegnosamente spiegate da Bicknell, il quale recò in tal guisa un contributo assai efficace alla cognizione dei nostri geroglifici in genere.
Secondo questo autore, si tratta essenzialmente, come nel caso testé accennato, di aratri primitivi tratti da buoi e guidati da uomini; e, mentre in ciascun gruppo gli animali sono rappresentati più o meno schematicamente in proiezione orizzontale, le figure umane son disegnate invece in proiezione verticale. In alcuni gruppi v’ha un solo uomo nell’atto di regolare il congegno, impugnando colla mano destra la leva o manico (1) che lo comanda (fig. 70, 71) (2); in altri vi ha una seconda figura umana, sempre più piccola (fig. 72, 73) che accenna ad un fanciullo collocato dinanzi ai bovi, coll’attitudine di guidare o di trattenere l’attacco. Finalmente, Bicknell cita disegni di aratri tratti da tre e perfino da quattro bovi. Non sfuggirà ad alcuno il riflesso che l’ uso di aratri tratti da due o più bovi, sarebbe attualmente impossibile o malagevole in quelle alte ed aspre vallate, e accenna
(1) Negli aratri romani, assai semplici, questa parte corrisponderebbe alla così detta stiva ; nei nostri sarebbe rappresentata dal bure e dal regolatore.
(2) Nella fig 71, due asticelle che si riuniscono superiormente potrebbero accennare agli arti inferiori di una seconda figura.
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a terreno poco accidentato e ad agricoltura piuttosto progredita.
Anche le figure umane isolate e i gruppi di figure potrebbero rappresentare insegne. Quelle nelle quali l’uomo impugna un’alabarda od altra arme appartengono verosimilmente a guerrieri o meglio a capi o principi, e il numero dei nodi dell’asta che sostiene l’alabarda sta forse ad indicare il grado gerarchico del portatore. Gli attacchi di bovi coll’aratro e coll’erpice servirebbero invece ad indicare agricoltori.
Il confronto fra le incisioni delle valli d’Inferno e di Fontanalba con geroglifici di cui fanno uso i popoli barbari, specialmente nell’America settentrionale, ci porge chiara prova che nelle prime come nei secondi le immagini e i segni singoli sono associati in convenzionali combinazioni, allo scopo di esprimere idee più o meno complesse.
Così, tengo per certo che l’avvicinamento di più figure scolpite in quella remota regione non fosse casuale, e servisse a formulare determinate proposizioni. Si tratta evidentemente di una scrittura ideografica simbolica, nella quale forse certi segni assai semplici (Y) stavano per acquistare e forse avevano acquistato il significato di caratteri fonetici.
Alcuni gruppi risultano costituiti di poche figure piuttosto semplici. Così, per esempio, in uno di quelli disegnati dal capitano d’Albertis e di cui volle darmi gentilmente comunicazione, si vedono sopra una superficie levigata di m. 3 di lunghezza e 2 di larghezza cinque corpi cornuti, due dei quali compenetrati colle corna dirette in senso inverso all’esterno, corpi disposti in prossimità l’uno dell’altro lungo una linea obliqua ascendente, poi, poco più in alto a destra, una insegna formata di un’ellissi divisa in due metà da una retta verticale attraversata da tre tratti trasversali, certo la
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stessa rappresentata da Clugnet al n. 4 della sua tavola VI, qui riprodotta nella fig. 49 (1).
Quantunque manchino al presente validi termini di confronto per tentare la spiegazione di tali geroglifici, non mi sembra l’impresa superiore a quelle che la scienza sarà capace di condurre a buon porto. Ben s’intende che, oltre alle nozioni fornite dalla paletnologia, saranno da usufruttarsi i metodi e i criteri messi in opera dalla epigrafìa, dalla sfragistica, dalla linguistica e dalle discipline affini. Intanto, faccio viva istanza agli esploratori affinchè vogliano apparecchiare elementi alla futura indagine, raccogliendo, non solo i singoli segni, ma i gruppi che risultano dal loro reciproco avvicinamento.
Prima di chiudere questo studio con qualche considerazione d’ordine generale, reputo opportuno esporre succintamente giudizî ed opinioni suggeriti dall’esame dei geroglifici di cui ho tenuto discorso.
Alcuni, come Clugnet, non vedono in essi che il risultato di un passatempo immaginato da ingenui pastori affine di ingannare lunghe ore d’ozio. Questo concetto, già avanzato da Gioffredo e che lo stesso G. de Mortillet parve inclinato ad accogliere, mi sembra fondato sopra impressioni affatto estranee alla critica scientifica, e tale da non richiedere discussione, poiché già implicitamente confutato dalle osservazioni surriferite.
Rivière riconosce nelle incisioni della Valle d’Inferno carattere etnografico ben spiccato, nella qual cosa pienamente convengo, avvertendo che più e meglio si palesa un tal carattere in quelle di Val Fontanalba ; ravvisa poi stretta somiglianza fra le prime e le inscrizioni rupestri del Sus (Marocco) e delle isole Canarie.
Nei disegni segnalati sulle rupi del Sus figurano è vero animali, ma si tratta, per quanto mi consta, di ri-
(1) Orbene, l’ insegna potrebbe essere designazione di persona, rappresentando le altre figure il numero e la natura degli animali offerti alla divinità dalla stessa persona.
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noceronti, elefanti e struzzi, i quali non hanno coi nostri alcuna relazione. Si dà invece una strana coincidenza nella ripetizione del segno che rappresenta una testa cornuta e nella somiglianza di parecchie altre figure. Rivière trova inoltre qualche analogia fra i disegni scolpiti sopra un menhir del Marocco e taluno di quelli della Valle d’Inferno.
Rispetto alle Canarie, osservo dai saggi pubblicati per cura di d’Albertis, che, tra le incisioni dell’isola di Palma, predominano spirali e curve capricciose, nelle quali non si palesano riscontri notevoli coi geroglifici delle Alpi. A Gomera si avrebbero invece segni simili o conformi a caratteri orientali, e perciò, salvo rare eccezioni, essenzialmente diversi da quelli da noi passati in rassegna.
Non così nell’isola del Ferro, ove le pareti rocciose scolpite sono estesissime e presentano figure svariate, fra le quali alcune, nel punto detto Los Letreros, corrispondono a quelle descritte dallo stesso Rivière e dai suoi continuatori.
Rivière avverte sagacemente come le analogie da lui segnalate si accordano colla estesa distribuzione geografica, nel bacino del Mediterraneo, della razza di Cro- Magnon, secondo gli studi antropologici di de Quatrefages e Hamy (1).
È ora a desiderarsi che i confronti appena iniziati sieno proseguiti ed estesi al copioso materiale recentemente scoperto da Bicknell. A me mancano gli elementi per accingermi a questo lavoro, il quale darà certo buoni frutti a chi potrà tentarlo nelle condizioni più opportune.
L’ipotesi che attribuisce i bizzarri geroglifici ad Annibale, raccolta da Elisée Reclus, come quella che li vuol tracciati per opera dei Cartaginesi guidati dai duci che militavano col celebre condottiere, caldeggiata da Fodérè, son prive di ogni sussidio storico, etnografico ed archeo-
(1) A. de Quatrefages e E. T. Hamy, Crania ethnica, etc. Paris 1873.
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logico. Superfluo il dimostrare, pur ammettendo il transito pel varco di Tenda di un’oste cartaginese, quanto è assurdo supporre che si sia indugiata a scolpir migliaia di figure sulle rupi, in regione lontana da ogni via praticabile e nella quale regna quasi perennemente il rigor dell’ inverno.
Con maggior verosimiglianza fu sostenuta dal compianto professore Emanuele Celesia la tesi che gli artisti di Val d’Inferno e di Val Fontanalba fossero Fenici approdati in tempi antichi, per ragioni di commercio, ai lidi della Liguria ed, ascesi poi fino alle alte pendici di quelle Alpi, per fare incetta dei preziosi metalli forniti loro dalla miniera di Vallauria, coltivata da epoca remotissima (1).
Bicknell osserva opportunamente che se i Fenici seppero estrarre dai loro giacimenti rame e stagno, non risulta che coltivassero miniere di piombo. Egli tuttavia non è alieno dal riconoscere, con Celesia, l’influenza fenicia in taluno dei segni che più spesso si ripetono sulle pietre scolpite di quelle valli. Io soggiungo, in proposito, che uno dei riscontri più notevoli sui quali Celesia fondava la sua tesi, il ritrovamento cioè della croce ansata dei Fenici, cade dinanzi alla interpretazione razionale che emerge dal confronto di numerose figure cornute, talvolta ridotte a segni schematici, nei quali l’asta verticale è convertita in croce da una sbarra che la taglia trasversalmente.
Mader reputa probabile, come taluno dei suoi predecessori, che i segni figurati di cui ci siamo occupati sieno dovuti ai Fenici, i quali coltivavano la miniera di Tenda, non per estrarne piombo, di cui facevano poco o niun conto, ma argento e zinco.
Sarebbe argomento di molto valore, a pro’ di tali affermazioni ed ipotesi, quello che venisse fornito dalle an-
(1) La tradizione attribuisce gli scavi della miniera ai Saraceni che la fantasia popolare avrebbe per anacronismo sostituito ai Fenici.
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tichità libiche rinvenute, secondo Celesia, negli scavi minerari delle Alpi Marittime, ma quali sono e dove si trovano queste antichità? Molon stima che le nostre incisioni rupestri sieno rudimentale scrittura lasciata da popoli aborigeni allo scorcio dell’età della pietra e quando già cominciava a diffondersi la cognizione dei metalli; e sarebbe ipotesi ben verosimile se l’arte degli aborigeni, quale si palesa con cimeli più antichi e in parte anche coevi nei depositi delle caverne, non fosse improntata a caratteri alquanto diversi. Non conosciamo una sola immagine di animale disegnata o scolpita dagli antichi Liguri; la bizzarra alabarda che spicca sulle rupi di Val Fontanalba è affatto ignota nelle raccolte paletnogiche locali.
Lissauer attribuisce i geroglifici da noi descritti agli Iberici, ciò principalmente a motivo dei tipi cui si riferiscono alcune delle armi rappresentate, e soggiunge che dodici o tredici secoli prima dell’èra volgare questo popolo frequentava per scopi commerciali una via (la via Erculea), la quale poneva in relazione la Spagna orientale col Piemonte, per Antibo, Nizza, Villafranca, la Turbia, attraversando lo spartiacque, secondo ogni verosimiglianza, al passo di Tenda. Senonchè, per generale consenso dei paletnologi italiani, gli Iberi e i Liguri appartenevano ad una medesima stirpe, la quale con caratteri antropologici ed etnografici comuni avrebbe occupato il territorio compreso fra la penisola pirenaica e la valle del Po, come pure gran parte della penisola italiana, la Corsica, la Sardegna e la Sicilia. Se si vogliono autori delle incisioni rupestri gli Iberici, così stretti parenti dei Liguri, perchè non si attribuiranno invece a questi ultimi ? Presso l’antichità classica si riferivano gli abitanti di un dato territorio o paese ad un popolo o all’altro sulla fede di oscure tradizioni e leggende o per lievi coincidenze etimologiche ed etnografiche, laonde, mentre non è lecito dubitare che certi popoli protostorici designassero sè stessi quale col nome di Liguri, quale con quello di
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Iberi, non è men vero che ignoriamo le loro relazioni reciproche e non possiamo accogliere senza molte riserve le asserzioni degli autori circa la loro distribuzione geografica nelle varie epoche e specialmente durante le più remote. Se Strabone riconobbe la necessità di designare come Celtoiberi coloro che provenivano dalla commistione dei Celti e degli Iberi e come Celtoliguri altri che partecipavano dei Celti e dei Liguri, è ben legittimo argomentare che i tre elementi fossero ai suoi tempi ben distinti come nazioni. Rispetto alla stirpe, diremo solo, per esser cauti, che Liguri ed Iberi erano assai affini specialmente dal punto di vista dei caratteri antropologici.
Intanto, avvertiamo incidentemente, per non generar confusione, che intendiamo per Liguri, non già quelli dai classici distribuiti per tali in Italia, in Francia, in Spagna, in Inghilterra e sul Mar Nero, ma solo la gente che, fra i tempi archeolitici e i protostorici, lasciò i propri avanzi nelle caverne e nelle altre stazioni archeologiche della Liguria marittima.
Dopo le pubblicazioni del Bicknell, che mettono in chiaro come l’arte dei misteriosi incisori si esplicasse bene spesso con figure assai più corrette e complicate di quelle che si conoscevano da principio, apparisce adunque improbabile che tali incisori fossero Liguri dei tempi neolitici e postneolitici, i quali, come dimostrano le vestigia rinvenute nelle loro caverne, erano dotati di un senso estetico assai oscuro, non possedevano che scarsi ed imperfetti utensili metallici tutti o quasi tutti importati da altri paesi (1), e, dediti principalmente alla caccia e alla pastorizia, esercitavano una agricoltura rudimentale.
(1) Nelle caverne ossifere della Riviera di Ponente, i cui depositi più superficiali appartengono alla fase di transizione fra l’età neolitica e quella dei metalli, due soli oggetti rinvenuti da don Morelli, due frammenti d’arenaria, che servirono quali modelli di fusione, accennano alla lavorazione indigena del bronzo o del rame. I rari manufatti metallici, pugnali, accette, coltelli, braccialetti, lesine, anelli ecc. dei medesimi depositi archeologici provengono a quanto pare dalla valle del Po o da altra regione transappennina.
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Ricorderò qui, tra parentesi, aver io dimostrato, mediante il confronto dei resti umani paleolitici della stazione dei Balzi Rossi con quelli neolitici e protostorici del Finalese e colla scoperta di relitti anche posteriori, come una stirpe unica, ora estinta, abbia popolato la nostra regione dai tempi più remoti (lo studio dei quali appartiene alla paleontologia) fino ai primordi dell’era storica, come eziandio questa stirpe, la sola cui si competa propriamente l’appellativo di Ligure, coincidesse perfettamente, pei suoi caratteri antropologici, con quella illustrata da Broca, de Quatrefages e Hamy sotto il nome di race de Cro-Magnon, che occupò durante i tempi preistorici gran parte dell’ Europa occidentale e del bacino circummediterraneo.
Alla unità antropologica ben definita di Cro-Magnon fu di poi assegnato un significato più comprensivo, annettendole parecchie stirpi più o meno divergenti dal tipo e si denominò razza Mediterranea. Sergi sostiene ora la tesi che l’origine di questa razza sia africana, ma come si concilia la sua affermazione col fatto che ad essa indubbiamente appartengono i liguri neolitici e paleolitici delle caverne, per tacere di altri cavernicoli antichissimi di cui si trovano gli avanzi in plaghe più settentrionali? Si deve perciò ricorrere alla comoda ipotesi delle immigrazioni avvenute in una fase geologica anteriore alla nostra? Contrariamente alla opinione professata da Rivière, ritengo che anche buon numero di incisioni e figure megalitiche osservate sui dolmen e i menhir dell’ Europa occidentale, quantunque differenti nella tecnica dalle incisioni delle valli d’Inferno e Fontanalba, abbiano con esse relazioni strette, sia dal punto di vista dello stile, sia da quello della similitudine di parecchi segni. Le prime ci esibiscono principalmente : coppelle (non osservate ancora fra le Alpi Marittime), circoletti con un punto nel centro e senza, circoli concentrici, spirali semplici o doppie linee, serpeggianti, piegate ad U, piegate a pasto
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rale, segni naviformi ecc., poi immagini di ascie litiche con manico e senza, figure umane assai rozze, insegne o scudi più o meno complicati, ornamenti diversi, figure di significato ignoto.
Mentre Letourneau ravvisa in gran parte di questi segni lettere analoghe a quelle di antichi alfabeti in ispecie dei semitici (1), Adriano de Mortillet nega assolutamente che si riferiscano ad una scrittura « Qui dit écriture, egli soggiunge, dit arrangement. Or il n’ y en a aucun dans les signes des monuments mégalithiques » (2).
A me par difficile revocare in dubbio, in gran parte di quelle incisioni, il carattere di scrittura ideografica.
De Nadaillac cita due esempi nei quali i segni tracciati sulle pietre di megaliti del Morbihan sono coperti da altro masso e quindi anteriori alla erezione del monumento; d’altra parte, è certo che in alcuni casi le incisioni sono invece posteriori, e in questi si tratta più volte di vere epigrafi, quali scritte in caratteri indecifrabili, quali in lettere di antichi alfabeti.
E appunto il complesso degli accennati segni ed immagini, tracciati sui monumenti megalitici tipici e contemporanei ad essi, che presenta a parer mio una certa analogia con quello delle incisioni rupestri alpine, accennando ad origine comune. Le differenze che si notano fra molte figure del primo e del secondo sono forse dipendenti da destinazione diversa (le une erano la maggior parte, inscrizioni funebri e le altre invece documenti di carattere religioso o politico); si spiegano eziandio invocando diverse circostanze di tempo e di luogo e specialmente il fatto che presso le società primitive esistevano ed esistono ancora disparità profonde nei costumi, nelle credenze, nei parlari di tribù antropologicamente assai prossime e geograficamente vicine.
(1) C. Letourneau, Signes alphabétiformes des inscriptions megalithiques (Bull, de la Société d’Anthropologie, Paris 1898).
(2) A. de Mortillet, Revue mensuelle de l’École d’Anthropologie, 15 settembre 1894.
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Quanto alle differenze nella tecnica, le ritengo subordinate alla natura della roccia che si scolpiva e degli stromenti adibiti al lavoro.
Osservo a sussidio delle mie considerazioni che la estesa distribuzione in Europa, in Affrica e in Asia dei megaliti spiega, da una parte, la disparità delle vestigia grafiche lasciate dai loro autori nei varî punti, e dall’altra certe somiglianze fra queste ed altre della stessa indole e di origine ignota che si trovano impresse sulle rupi in buon numero di luoghi che mancano di megaliti.
Intanto, contro l’ipotesi da me avanzata si può addurre il fatto che non furono segnalati dolmen, menhir, cromlek nelle valli d’Inferno e di Fontanalba e nemmeno in tutta la regione che le circonda; non ne conosco anzi un solo esempio ben accertato in tutta la Liguria e nel Piemonte. I più vicini alle rupi incise sarebbero, per quanto mi consta, i dieci dolmen scoperti presso Saint Césaire, nel dipartimento francese delle Alpi Marittime da Bourguignat e A. Maret.
Esistono, è vero, fra noi, cimeli antichissimi da taluno considerati più o meno legittimamente come pertinenti alla stessa famiglia dei monumenti cui accenno. Abbiamo la pietra da croci di Pieve di Teco, che è un masso erratico scolpito (1), abbiamo le rupi incise di Orco Foglino e dell’Acquasanta (2) che offrono punti di contatto notevolissimi coi massi figurati dei dolmen. Finalmente, in rifugi attuali di pastori comunissimi in Liguria, che si denominano caselle (3), si palesa la tradizione di rozzi
(1) E. Desor, La pierre de Croix de Pieve de Teco etc. (Bull, di Paletnologia italiana, anno X, Parma 1879).
(2) A. Issel, Incisioni rupestri del Finalese ( Bulletino di Paletnologia italiana, anno XXIV, Parma 1898). Rupe incisa dell’Acquasanta (Atti della Società Ligustica di scienze nat. e geog., vol. X, Genova 1899).
(3) Queste caselle, costruite di pietra greggia senza cemento, hanno ordinariamente la forma di due tronchi di cono sovrapposti e sono coperti da un tetto convesso a guisa di cupola schiacciata.
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edifizî preistorici assai somiglianti a certe costruzioni ciclopiche ; ma tuttociò non ha che relazione molto indiretta colla nostra tesi; alla quale farebbe mestieri, per essere saldamente sorretta, un esame comparativo delle incisioni megalitiche da una parte e delle rupestri dall’altra, esame impreso da un buon conoscitore dei geroglifici e degli alfabeti antichi, da uno studioso che avesse sotto gli occhi i copiosi documenti raccolti dagli archeologi, dagli antropologi e dagli etnografi sui monumenti megalitici in genere, sulle genti cui si deve la loro erezione, e sulla parte presa dai misteriosi architetti, che lasciarono le proprie orme in sì gran parte del mondo, nelle relazioni fra i popoli.
In questo esame vorrei si tenesse gran conto dei lavori di Piette (1) e di Bordier (2) sui caratteri paleolitici, di Reber (3), di Letourneau (4), Berthelot (5) sui graffiti della prima età dei metalli, di Schlieman, di Gozzadini, di Evans (6), di Kirchhoff, di Corssen, di Pauli sulle iscrizioni dei tempi protostorici e finalmente delle numerosissime memorie concernenti l’epigrafia antica in genere.
Fra le opinioni emesse da Rivière, Celesia, Bicknell, Lissauer, Molon non intercede una differenza radicale e profonda, se si rifletta che gli abitanti dell’antica Libia, i Fenici, gli Iberici e i Liguri preistorici presentano fra
(1) Piette, Études d’ethnographie préhistorique etc., (L’Anthropologie, vol. VII, Paris 1896).
(2) Bordier, Origines préhistoriques de l’écriture (Bulletins de la Société dauphinoise d’Ethnographie et d’Anthropologie, vol. IV, Grenoble 1897).
(3) Reber, Vorhistorische Sculpturendenkmäler un Canton Wallis (Archiv fiir Anthropol, vol. XX e XXIV).
(4) C. Letourneau, Signes alphabetiformes des inscriptions mégalithiques (Bulletins de la Société d’Anthrop. de Paris, 15 septembre 1894).
(5) Berthelot, Antiquités canariennes, Paris 1879.
(6) A. Evans, Cretan Pictographs and praephoenician script, from Crete and the Peloponnese.
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loro certe affinità etnografiche e forse appartengono ad un ramo peculiare dello stesso stipite umano, a quella schiatta Mediterranea, la cui esistenza è fin qui intraveduta più che dimostrata. Similmente, i riscontri sui quali ho insistito in modo speciale in queste pagine non sono tampoco in opposizione colle ipotesi dei miei predecessori, se, come ammette Letourneau, le inscrizioni megalitiche hanno segni comuni coll’alfabeto fenicio, se il popolo che edificava i dolmen, i menhir e i cromlek aveva coi Liguri e gli Iberici quelle relazioni di parentela che taluno suppone.
Intanto, la risposta alla semplice domanda che si affacciava da principio alla nostra mente « A qual popolo si debbono attribuire le incisioni rupestri delle nostre Alpi? » si rende non solo difficile per sè stessa, ma si aggroviglia alle questioni etnografiche ed antropologiche più gravi e più controverse.
Dopo la scoperta del Piette, di segni alfabetiformi tracciati su ciottoli che giacevano in un deposito non rimaneggiato riferibile all’età miolitica (al magdalénien secondo la classificazione di de Mortillet), dopo le osservazioni del dott. Bordier, il quale non solo conferma le osservazioni del Piette in ordine alla conformità di alcuni fra tali segni con altri degli alfabeti egeo, cipriotto, dell’Asia minore, ma le estende alla coincidenza loro con altri frigi, lici, di Tera e d’Egitto, è difficile revocare in dubbio il fatto che in tempi remotissimi, pertinenti alla paleontologia, già si producessero nelle società primitive sprazzi di luce, lampi fugaci di progresso, i quali si diffusero più o meno affievoliti nello spazio e nel tempo, suscitando, ove le condizioni erano favorevoli, nuovi focolari di coltura, dotati di caratteri quali peculiari, quali comuni agli originari centri d’irradiazione.
Così, data la concomitanza di circostanze e di eventi propizi, sarebbero nati i primi rudimenti delle antiche civiltà ; così, prima che queste sorgessero, sarebbero state in uso, presso popoli fra loro lontani, metodi e segni
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grafici non identici, ma analoghi, per l’espressione del pensiero.
Per spiegare queste ed altre relazioni paletnologiche fra i popoli che lasciarono analoghe tracce di sè, non solo nelle rupi scolpite, ma nei monumenti megalitici, nei manufatti litici e metallici, nei fittili, ecc. non fa d’uopo ricorrere all’ipotesi di vere e proprie migrazioni come quelle che si verificarono nei tempi storici. Ognun vede come possiamo rendercene ragione coi criteri messi talvolta in opera dai paleontologi, quando si studiano di rintracciare l’origine delle faune fossili, cioè invocando il lento e progressivo allargarsi e il compenetrarsi vicendevole di più stirpi primordiali, nate a breve distanza l’una dall’altra, risultandone, in ordine ai singoli rami e ramuscoli, da un lato un certo grado di affinità e dall’altro una impronta propria in ciascun tempo e in ciascun paese. Ritengo, in altre parole, che le razze preistoriche di ogni regione sieno senza eccezione aborigene e pur tuttavia collegate fra loro da reciproca parentela.
Tenendo nel debito conto le osservazioni fatte dai più diligenti illustratori di quei geroglifici e specialmente dal Bicknell, paragonando senza preconcetti i segni di cui si tratta con altri di significato noto ed ignoto e di età più o meno remota, segnalati in varie parti del mondo, mi piace riassumere le osservazioni fatte colle proposizioni seguenti, parte conformi a giudizi già emessi dai miei predecessori, parte originali, proposizioni tendenti a sollevare un piccolo lembo del fitto velo che avvolge tali singolari vestigia dell’arte preistorica.
I. Le figure incise risalgono a tempi remotissimi, anteriori ad ogni memoria storica della nostra regione, durante i quali, tuttavolta, erano già noti i metalli d’uso comune. Alcuni dei manufatti rappresentati si riferiscono a tipi propri alla così detta prima età del bronzo.
II. Esse furono eseguite da gente dedita all’agricoltura e alla pastorizia, ben più che alla caccia e alla guerra. Le immagini di aratri e di erpici escludono che
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gli artefici fossero esclusivamente pastori. Tali immagini, associate ad altre assai più numerose di teste e corpi cornuti, le prime provviste di orecchie o senza, i secondi muniti o no di gambe e di coda, dimostrano che queste figure cornute non sono il noto emblema fenicio, ma rappresentano bovi liberi od aggiogati per servire a lavori campestri.
III. Mentre molte figure rappresentano manufatti, animali od uomini, altre sono indubbiamente ridotti a schemi ed avevano, secondo ogni verosimiglianza, significato simbolico. Col loro complesso si possono considerare come veri geroglifici.
IV. Gli artefici delle incisioni non vivevano abitualmente nelle alte valli in cui tracciarono quelle misteriose figure, ma in ragioni coltivabili, più ospitali dal punto di vista del clima e delle produzioni; non provenivano però dalla Liguria Marittima. I territori più vicini in cui si danno le condizioni opportune per la prosperità di tribù dedite all’agricoltura sono le valli della Vesubia e della Roia a sud, quelle del Vermenagna e d’altri affluenti del Po a nord.
V. Non v’ha una sola figura che rappresenti con sicurezza un animale esotico. L’immagine di una testa munita di grandi corna avvolte a spirale, che a tutta prima potrebbe attribuirsi ad una antilope affricana, è con maggior verosimiglianza l’effige del capo di un vecchio ariete.
VI. Il numero delle figure, il lungo e malagevole lavoro a prezzo del quale furono ottenute, le condizioni climatologiche, l’asprezza e la sterilità dei luoghi, disadatti alla dimora dell’uomo, porgono chiara prova che si annetteva loro grande importanza e furono eseguite a gran distanza dalle abitazioni in territori remoti, difficilmente accessibili, inospitali, per preservarle dal pericolo di andar distrutti e forse anche per sottrarle alla vana curiosità degli estranei. Un tal sentimento si concilia agevolmente co’ supposto che i geroglifici avessero un significato religioso o politico.
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VII. Lo stile dei disegni si accosta principalmente a quello delle figure che si vedono scolpite o graffite in buon numero di monumenti megalitici (dolmen e menhir), sui quali bene spesso sono rappresentati l’accetta di bronzo inmanicata, rozzi stemmi (cartouches), ornamenti svariati, come circoletti, spirali ecc. ed anche immagini d’uomini e d’animali. Differisce la tecnica delle incisioni, ma ciò io credo, subordinatamente alla natura della roccia, piuttostochè per ragion di metodo. Vuolsi ricordare che i monumenti megalitici hanno estesissima distribuzione geografica, non appartengono ad una sola epoca archeologica e ad una sola stirpe e che le loro inscrizioni scolpite od incise offrono, nei vari casi, caratteri disparati.
Non mancano peraltro strette affinità fra le nostre incisioni rupestri e quelle segnalate nelle Isole Canarie, nel Marocco e nell’Asia Minore.
VIII. La mancanza di avanzi umani sepolti o combusti presso le rupi scolpite, ed altri caratteri, escludono assolutamente il sospetto che si tratti di iscrizioni funerarie.
Le ipotesi da tenersi in maggior conto, circa il significato delle nostre scolture, sarebbero a parer mio le seguenti : а) Che fossero destinate a perpetuare la memoria di un culto misterioso o di sacrifizi offerti alla divinità.
b) Che fossero in certo modo un archivio destinato a conservare il ricordo di eventi memorabili, come vittorie conseguite, paci o tregue concluse, controversie composte, nuovi ordinamenti amministrativi o politici, alleanze, matrimoni.
c) Che avessero per oggetto di determinare i confini di territori soggetti a singole tribù o nazioni, o di definire titoli di proprietà o diritti di pascolo, che fossero in certo modo lodi, giudizi arbitrali, trattati, intesi a risolvere contestazioni tra popoli o tribù.
Non è escluso colle due ultime ipotesi che la registrazione in quelle alpestri valli di importanti documenti
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storici od amministrativi avesse luogo in modo solenne e fosse accompagnata dall’adempimento di cerimonie religiose, affine di impetrare il favore della divinità, alla quale colà, come più tardi in altri paesi e presso altri popoli, si assegnò per sede l’alta montagna.
A. Issel.
Spiegazione delle Figure.
Fig. 1 Rupe incisa presso il Lago Verde — (Bicknell).
» 2 Rupe incisa tra Val Fontanalba e il Monte di Santa Maria — (Bicknell).
» 3 Accetta inmanicata, Fontanalba, — fig. assai ridotta — (Bicknell) » 4 Accetta inmanicata, Fontanalba, — fig. assai ridotta — (Bicknell) » 5 Mazzapicchio o zappa, Fontanalba, — fig assai ridotta — (Bicknell).
» 6 Mazzapicchio o zappa, Fontanalba, — fig. Assai ridotta— (Bicknell).
» 7 Martello inmanicato, Fontanalba, — fig assai ridotta — (Bicknell).
» 8 Punte di frecce peduncolate, Fontanalba, — altezza dell’origin. m. 0,055 — (Bicknell).
» 8 bis Cuspide di freccia non peduncolata, Fontanalba, — fig. assai ridotta — (Bicknell).
» 9 Cuspide di lancia a lungo cannone, Fontanalba, – fig. assai ridotta — (Bicknell).
» 10 Cuspide di lancia, Fontanalba, — fig. assai ridotta — (Bicknell).
» 11 Pugnale, Val d’Inferno, — lungh. dell’origin. circa m. 0,31 — (Rivière).
» 12 Lama di pugnale, Fontanalba, — fig. assai ridotta — (Bicknell).
» 13 Alabarda, Fontanalba, — fig. assai ridotta — (Bicknell) » 14 Alabarda a doppio anello, Fontanalba, — fig. assai ridotta — (Bicknell).
» 15 Alabarda ad anello, Fontanalba, — fig. assai ridotta — (Bicknell).
» 16 Falcetto, Val d’inferno, — alt. dell’origin. m. 0,12 — (Rivière)
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Fig. 17 Carro a due ruote, Val d’Inferno, — lungh. dell’origin. circa m. 0,53 — (Rivière).
» 18 Erpice, Val d’Inferno, — lungh. dell’origin. circa m. 0,42 (Rivière).
» 19, 20 Teste bovine, Fontanalba, — fig. assai ridotte — (Bicknell).
» 21, 22 Teste bovine, Val d’Inferno, — fig. assai ridotte — (Clugnet).
» 28, 24 Teste bovine orecchiute, Fontanalba, — fig. assai ridotte —(Bicknell).
» 25, 26 Immagini schematiche di bovini, Fontanalba. — fig. assai ridotte — (Bicknell).
» 27 Immagine schematica di bovino, Fontanalba, — fig assai ridotta — (Bicknell).
» 28 Immagine schematica di bovino, Fontanalba, — lungh. dell’origin. m. 0,39 — (Bicknell).
» 29 Immagine schematica di bovino, Fontanalba, — fig. assai ridotta — (Bicknell).
» 29 bis Immagine schematica di bovino, Fontanalba, — fig. assai ridotta — (Bicknell).
» 30 Immagine schematica di bovino, Fontanalba, — fig assai ridotta — (Bicknell).
» 31 Immagine schematica di bovino, Fontanalba, — fig. assai ridotta (Bicknell).
» 32, 33 Immagini schematiche di bovini, Fontanalba, — la prima misura nell’origin. m 0,41 di lungh. — (Bicknell).
» 34, 35 Simboli di bovini, Fontanalba, — fig. assai ridotte — (Bicknell).
» 36, 37, 38, 39 Schemi o simboli di bovini, Fontanalba, — fig. assai ridotte — (Bicknell).
» 40 Simbolo di bovino Val d’Inferno, — lungh. dell’origin. m. 0,168 — (Rivière).
» 41 Pelle di quadrupede. Fontanalba, — lungh. dell’origin. m. 0,39 — (Bicknell).
» 42 Schema o pelle di bovino, Val d’Inferno, — lungh. dell’origin m 0,185 — (Clugnet).
» 43 Simbolo di bovino con segno numerico, Val d’Inferno, — lungh. delPorigin. m. 0,15 — (Rivière).
» 44 Schema o simbolo di una coppia di bovini. Val d’Inferno, — fig assai ridotta — (d’Albertis).
» 45 Schema di una coppia di bovini, Fontanalba, — fig. assai ridotta — (Bicknell).
» 46 Testa o teschio di cervo, Val d’ Inferno, — largh. dell’origin. m. 0,33 — (Rivière).
» 47 Testa ovina, Fontanalba, — alt. dell’origin m. 0,125 – (Bicknell).
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Fig. 48 Testa o teschio di capra. Fontanalba. — fig assai ridotta — (Bicknell).
» 48 bis Testa di capra, Fontanalba. — fig. assai ridotta — (Bicknell).
» 49 Testa o teschio di capra, Val d’Inferno, — fig. assai ridotta — (d’Albertis).
» 50 Giogo con schemi di bovi, Fontanalba, — fig. assai ridotta — (Bicknell).
» 51 Aratro con simboli di bovi, Fontanalba, — fig. assai ridotta — (Bicknell).
» 52 Erpice tratto da bovini, Fontanalba, — fig. assai ridotta — (Bicknell).
» 53 Aratro, Val d’Inferno — alt. dell’origin. circa m. 0.156 — (Rivière).
» 54 Erpice? Val d’Inferno, — alt. dell’origin. circa m. 0,20 — (Rivière).
» 55 Insegna ?, Fontanalba. — fig. assai ridotta — (Celesia).
» 55 bis Segno numerale. Val d’ Inferno, — largh. dell’origin. circa m. 0,156 — (Rivière).
» 56 Pianta di « margheria ». Fontanalba, — lungh. dell’origin. circa m. 0,30 — (Bicknell).
» 57 Pianta di « margheria » ?. Val d’Inferno, — lungh. dell’origin. circa m. 0.895 (1) — (Rivière).
» 58 Insegna, Fontanalba. — lungh. dell’origin. circa m. 0,24 — (Bicknell).
» 59 Insegna, Fontanalba, — lungh. dell’origin. circa m. 0,33 —(Bicknell).
» 60 Insegna?, Val d’Inferno, — lungh. dell’origin. circa m 0,595 — (Rivière).
» 6l, 62, 63, 64, 65, 66, 67, 68 Immagini di capi o di guerrieri, Fontanalba: — il n. 61 misura circa m. 0,28, il n. 64 circa m. 0,19, il n. 65 circa m 0,50, il n 67 circa m 0,22, il n. 68 circa m. 0,165 d’altezza — (Bicknell).
» 69 Immagine di guerriero, Fontanalba, — alt. dell’origin. circa m. 0,075 — (Bicknell).
» 70 Aratro tratto da due bovi col bifolco. Fontanalba, — fig. assai ridotta — (Bicknell).
» 71 Aratro tratto da due bovi col bifolco e tracce di altra figura umana, Fontanalba, — fig. assai ridotta — (Bicknell).
» 72 Aratro tratto da due bovi col bifolco e un garzone che trattiene i buoi, Fontanalba, — fig. assai ridotta — (Bicknell).
(I) In questa figura la posizione dell’originale fu, per inavvertenza, invertita, come se fosse veduto in uno specchio.
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Fig. 73 Aratro tratto da due bovi col bifolco o un garzone, Fontanalba, — lungh. del gruppo m. 0,37 — (Bicknell).
» 74 Insegna, Val d’Inferno, — fig. assai ridotta — (Clugnet).
N. B. Le vignette recate a corredo di questa memoria, al solo scopo di rendere più chiari i concetti dell’autore, non possono dare che una idea imperfetta del copioso materiale raccolto in ordine alle incisioni rupestri delle Alpi Marittime e specialmente dei bellissimi calchi eseguiti in sì gran numero dal sig C. Bicknell. Finisco, pertanto, col fervido augurio che questo materiale sia ben presto pubblicato con figure in grande scala, le quali abbiano a soddisfare a tutte le esigenze della scienza.
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Original reference:
Issel A. 1901. Le rupi scolpite nelle alte valli delle Alpi Marittime, Bullettino di paletnologia italiana, s. III, t. VII, a. XXVII, nn. 10-12, 1901, pp. 218-259.
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