Gli Autori, in seguito a recenti sopralluoghi sul crinale montuoso che, da Nord a Sud, separa la Val Pora (ad Est) e la Val Maremola (ad Ovest), hanno potuto osservare la presenza di strutture litiche che potrebbero rivelarsi di grande interesse archeologico ed archeoastronomico.
by A. Pirondini, G.P. Bocca, F. Pirondini, C. Pirondini, C. Villa
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Testimonianze Megalitiche presso lo Sparossino
(Liguria Occidentale)
Autori: Alfredo Pirondini*, Gian Paolo Bocca*, Filippo Pirondini*,
Cecilia Pirondini* e Cesarina Villa*
*Il Finalese: Studi e Ricerche http://ilfinalese.blogspot.it
Descrizione
Come già riportato in lavori precedenti (26), (35), la zona fra il Bric Gettina e la Rocca Cucca si presenta di malagevole esplorazione per l’impervietà dei luoghi e per l’intricata vegetazione.
Il crinale fra questi due rilievi (Figura 1) presenta, però, tracce di possibili e suggestivi manufatti megalitici che, nella zona del Rio Sparossino (tributario del Pora) e, più precisamente, sulla cima di un rilievo a quota 925 mslm, Lat.: 44.219373° N – Long.: 8.230023° E, che gli Autori hanno denominato “Bric dello Sparossino”, assumono l’aspetto di un vero e proprio complesso (35). Sono, infatti, presenti: una tavola di pietra orizzontale sostenuta da pietre più piccole; un possibile Menhir orientato in direzione Nord-Sud (Foto 1); una camera aperta in direzione Est-Ovest, di struttura atipica, per il cedimento dell’ortostato settentrionale, di cui si possono osservare i presunti resti (Foto 2).
Tumuli di pietre sono riconoscibili lungo tutto questo spartiacque (1), (38), (39).
Antichi segni di frequentazione antropica sono inoltre documentabili dal ritrovamento di muri a secco a livello dei piedi dello sperone roccioso meridionale della Rocca Cucca, sul versante della Val Maremola, ma non bisogna trascurare i megaliti descritti nei pressi del percorso che porta alle Miniere del Bric Gettina (35). In particolare, va ricordata la costruzione, simile alle caselle del ponente ligure, denominata “Casa del Fabbro” con un caratteristico architrave litico all’ingresso (Foto 3) e la copertura a doppio spiovente (Foto 4) (4, 40).
In alcuni tratti, inoltre, il sentiero che porta dal Santuario della Madonna della Guardia fino alla Cà del Mago ed all’Osteria Vecchia, sembra potere assumere le caratteristiche di una strada megalitica (Foto 5).
Dal punto di vista geologico, i Porfiroidi del Melogno costituiscono la formazione rocciosa predominante. Trattasi di una roccia metamorfica (che ha subito trasformazioni legate ad alte temperature e ad alte pressioni), effusiva di origine vulcanica (Epoca Geologica: Permiano Inferiore o Cisuraliano: da 299,0 ± 0,8 a 270,6 ± 0,7 Milioni di anni fa), composta da rioliti (quarzi e feldspati, questi ultimi sono minerali a struttura laminare) e riodaciti (rocce compatte di colore da roseo a violaceo ed anche verde). Si presenta all’osservazione, per lo più, come una roccia di colore verde, se su superficie fresca, o marrone se su superficie alterata, finemente scistosa, con tessitura a bande millimetriche, alternativamente biancastre e verdastre, con pochi fenocristalli (cioè: cristalli visibili, perché di dimensione maggiore e ben distinguibili dalla matrice rocciosa circostante) inferiori al centimetro di quarzo con feldspato potassico (25), (44).
Il substrato roccioso del complesso dello Sparossino appare, quindi, notevolmente differente rispetto a quello degli analoghi reperti del vicino Finalese (area che si estende, in direzione dell’entroterra, dalla linea di costa fino al tracciato della attuale Autostrada A 10 e, lungo il litorale, da Capo Noli a Capo Caprazzoppa), geologicamente caratterizzato da una formazione rocciosa calcarea di origine bioclastica, nota come Pietra del Finale, formatasi nel Miocene (20-10 milioni di anni fa).
Discussione
In mancanza di reperti archeologici datanti, l’origine e la datazione di tali elementi costituiscono un problema di difficile soluzione a causa del posizionamento in luogo aperto, sottoposto all’azione degli agenti meteorici, vegetali, animali e, presumibilmente, umani. Tali fattori potrebbero avere alterato, nel corso dei secoli, la originale struttura e collocazione di questi probabili manufatti che potrebbero risalire ad un’epoca compresa fra il Neolitico (che, in Liguria si sviluppò fra il 5800 ed il 3600 a.C.) e l’Età del Bronzo (tra il 2200 ed il 900 a.C.), come anche gli altri Megaliti presenti nel Finalese (41), (42), (43).
L’insieme degli elementi posti sulla cima del Bric Sparossino (Foto 6) è, comunque, estremamente suggestivo per un eventuale utilizzo come primitivo osservatorio astronomico, in considerazione dell’orientamento delle pietre stesse.
La presenza, inoltre, della tavola orizzontale, sostenuta da pietre più piccole posizionate allo scopo di sostenerla, ricorda gli altari megalitici posti su luoghi elevati e protetti (7). Il fatto che la possibile “pietra-altare” sia costruita su un luogo elevato indica, con ogni probabilità, la volontà di scegliere un sito appropriato dal quale si potesse avere una sorta di controllo visivo del territorio sottostante, in rapporto anche alla sacralità delle postazioni di altura e delle cime montane (22), (23), tipica delle popolazioni Celto-Liguri (27), (28), (29), (30), (31), (32), (33), (34), (35), (36), (37).
Ulteriori esplorazioni potrebbero evidenziare altri manufatti ad oggi sconosciuti, così come uno scavo archeologico potrebbe fornire utili elementi di cronologia assoluta.
La valutazione dei siti descritti con le recenti tecniche avvalentesi del GPR (acronimo per Ground Penetrating Radar, detto anche Georadar), che usa le onde radio per delineare le strutture e la stratificazione del terreno sottostante, in grado persino di costruire immagini tridimensionali, dell’ERS (Electrical Resistance Survey, o Rilevamento Geoelettrico), che misura la resistenza dei diversi strati del terreno alla corrente elettrica (i resti archeologici possono, infatti, avere una resistenza inferiore o superiore rispetto al terreno intorno a loro ed essere così evidenziati), del Magnetometro Differenziale (o Gradiometro), che utilizza sensori magnetici (magnetometri) per rilevare proprietà magnetiche significativamente diverse da quelle delle aree circostanti (possono essere individuate con maggiore facilità formazioni archeologiche come pozzi, tombe, depositi di materiali, strade, fossati, muri), potrebbero individuare ulteriori reperti interrati, con la possibilità di poterli studiare in modo più approfondito, ancor prima di eseguire scavi. Una ulteriore tecnica utilizzabile è rappresentata dal Metal Detector: uno strumento che usa l’induzione elettromagnetica per rivelare la presenza di metalli. Risultati estremamente promettenti sono ottenuti anche con il LiDAR (Light Detection and Ranging o Laser Imaging Detection and Ranging), che possono ricavare dati con la scansione laser delle zone boscose, dalle quali si può rimuovere, in digitale, la vegetazione. Recenti studi, basati sulle nuove metodiche di ICP/OES o AAS (acronimi per Induced Coupled Plasma/Optical Emission Spectroscopy o Atomic Absorption Spectroscopy) hanno dimostrato che la metallurgia era ampiamente conosciuta nell’area oggetto del presente studio, già nella Media Età del Bronzo (1600 – 1350 a.C.) e che l’attività estrattiva era praticata anche in Val Bormida (14), (15), (16), (26), (27), (28), (29).
La presenza di particolari elementi litici in questa zona, assai vicina agli altri megaliti già descritti nelle vicinanze delle Miniere del Bric Gettina e la stessa costruzione della Casa del Fabbro, prospiciente le Miniere stesse, possono indiziare una frequentazione umana in epoche assai remote, probabilmente fino dal Neolitico (35).
In tale epoca, attraverso le rotte di navigazione praticate a quei tempi, si creavano legami sociali e culturali tra le popolazioni del Neolitico mediterraneo (4). La ceramica ed anche i beni deperibili contenuti nel vasellame in terracotta potrebbero, dunque, essere annoverati tra gli oggetti che erano veicolati via mare già dall’inizio del VII millennio a.C. (6), (8), (9), (17), (18), (19), (20), (21), (24).
In questo periodo si sono ulteriormente sviluppati i commerci via terra. Attraverso i valichi dell’entroterra Finalese, conosciuti anche ai nostri giorni con gli attuali toponimi di Colle del Melogno, Madonna della Neve (o Giogo di Rialto), Colla di San Giacomo (collegata alla Colla di Magnone, che la metteva in comunicazione con la Val Ponci), dalle valli finalesi, uomini e merci potevano raggiungere la Val Bormida e, da qui, la Valle del Po (2), (3), (5).
Conclusioni
Le recenti osservazioni, confermate dal presente studio, sono ormai concordi nel considerare il Finalese, fin dal Neolitico, come parte essenziale delle vie di scambio fra il Mediterraneo, la Val Padana e l’Europa Transalpina (19). Tale ipotesi potrebbe essere ulteriormente avvalorata da auspicabili ricerche interdisciplinari archeometriche ed archeometallurgiche sul materiale reperito in loco con l’ausilio delle nuove tecniche di indagine archeologica non invasive (o microinvasive) ora disponibili, comprendendo ulteriori studi di archeoastronomia (10), (11), (12), (13).
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© Alfredo Pirondini – ottobre 2013
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